Vittorio De Scalzi, voce e chitarra dei New Trolls è morto oggi a Roma all’età di 72 anni. Fondatore di uno dei complessi di rock progressivo più famosi degli anni ’60 e ’70, ha continuato negli anni successivi allo scioglimento del complesso, a proporre brani senza tempo, come “Una carezza della sera”, “Signore, io sono Irish”, “Una miniera” e l’opera rock “Concerto Grosso”.
Lo ricordo in una interpretazione, purtroppo di scarsa qualità, del 1979 di “Una carezza della sera“.
Brian May compie oggi 75 anni. Insieme a Roger Taylor, Freddie Mercury e John Deacon nel 1970 fondò i Queen, iconica band rock degli anni ’70 ed ’80. E’ stato autore di alcune dei più bei brani della band, come “We Will Rock You“, “The Show Must Go On“, “Who Wants To Live Forever“.
Nel 2007 ha ottenuto un dottorato in astrofisica all’Imperial College London e proprio quest’anno la prestigiosa rivista inglese Total Guitar lo ha eletto miglior chitarrista della storia della musica Rock.
Nel 2002, in occasione del Golden Jubilee della regina Elizabeth II eseguì “God Save The Queen” con la sua chitarra da un terrazzo di Buckingham Palace.
Negli anni ’70 ed ’80 del secolo scorso mi dilettavo di fotografia naturalistica, paesaggi e viaggi. La seconda fotocamera reflex che utilizzai (la prima era una reflex russa,la Zenit-E) fu una Canon AE1, una delle prime con un po’ di elettronica a bordo, appunto la possibilità di far gestire l’esposizione e la velocità dell’otturatore.
A questa fotocamera nel tempo aggiunsi alcuni obiettivi. Di questi mi sono rimasti il 50 mm di corredo, il 35 mm Canon e il 135 Vivitar.
Su una nota piattaforma di e-commerce vidi che era disponibile un anello adattatore per utilizzare le ottiche con attacco Canon FD a mirrorless Fujifilm, con attacco X-Mount.
Dato il costo irrisorio dell’adattatore, ho pensato di acquistarlo per utilizzare le ottiche vintage con la mia Fujifilm X-T20.
Il montaggio è estremamente semplice: dapprima si inserisce nella baionetta l’adattatore, e poi su di esso l’ottica. Ovviamente bisogna pensare che si perdono tutti gli automatismi della Fuji X-T20, diaframmi, tempi e messa a fuoco, ma altro non è che ritornare alle origine quando si facevano a mano tutte le regolazioni. Per la messa a fuoco si può utilizzare il “peak focusing“, per i diaframmi si agisce sulla ghiera dell’obiettivo. Per la velocità dell’otturatore si usa la ghiera della fotocamera.
Ho fatto alcuni test e devo dire che i risultati sono stati interessanti. Ottima la messa a fuoco, in particolare per il 35″, scarsa vignettatura in particolare per il teleobiettivo 135 mm. In conclusione, se uno ha delle ottiche vintage in qualche cassetto, può pensare di aggiungerle all’attuale corredo, in particolare per utilizzi a diaframma molto aperto.
Nell’album qui sotto si possono vedere le prove effettuate, con indicato sia il diaframma utilizzato che la velocità dell’otturatore.
Ringo Starr, al secolo Richard Starkey, compie oggi 82 anni. Per i pochi che non lo conoscono, dico solo che Ringo è stato il batterista del più importante band del XX secolo, The Beatles.
Forse per il fatto che la posizione della batteria lo poneva dietro gli altri tre componenti del gruppo, John Lennon, Paul McCartney e George Harrison, Ringo è il meno famoso. Teniamo anche conto che il gruppo era dominato come autori dalla coppia John-Paul, alcune con George, mentre per Ringo sono accreditate ben poche canzoni.
Ringo Starr è considerato uno dei più bravi percussionisti della musica Rock, sia l’attenzione che poneva nelle esecuzioni sia in studio che in concerto, sia per alcune innovazioni che, in seguito, sono state utilizzate da moltissimi batteristi.
Inoltre Ringo è stato, specie negli ultimi anni ’60 del XX secolo, un elemento di distensione negli innumerevoli contrasti specie tra Lennon e McCartney, che hanno, purtroppo determinato lo scioglimento del gruppo nel 1970.
Dopo tale fase Ringo ha intrapreso la carriera di solista, pur non raggiungendo i livelli degli altri Beatles, ma che continua anche ora senza sosta.
Il 1 marzo 2012 improvvisamente a Montreux in Svizzera moriva Lucio Dalla. Ricordo di aver appreso la notizia dalla radio in auto, notizia che veniva data ancora non certa, ma che lo diventò in breve tempo.
Non sto certo qui a celebrare la grandezza di Lucio, lo faranno di certo altri più titolati di me nel campo musicale, ma solo ricordare un incontro che ebbi con lui.
Non ricordo la data, probabilmente nella seconda metà degli anni ’70, o forse i primi anni ’80, il PSI aveva organizzato la festa dell’Avanti! alla spianata dell’Acquasola. Alla Federazione giovanile, della quale ero un dirigente, era stato demandato il compito di coordinare la vigilanza agli ingressi. Come in tutte le feste di partito erano attivi bar, stand gastronomici, librai e, ovviamente, spazio per i dibattiti politici. Clou della festa sarebbe stato il concerto di Lucio Dalla. Si sarebbe dovuto svolgere una sera ed il pomeriggio precedente ero là nel retro del palco dove vedevo i tecnici montare le strumentazioni.
Ad un certo momento vidi arrivare Lucio Dalla, da solo, proveniente dall’hotel in cui soggiornava, il Plaza di Piazza Corvetto. Parlò con i tecnici, fece una prova del microfono e poi scese dal palco e si diresse verso di me ed altri compagni. Con la sua cadenza bolognese chiese: “C’è un tabacchino qui vicino”. Io risposi: “Ce ne è uno in Piazza Corvetto”. E lui: “Mi fai vedere dove ?”.
Al chè ci avviammo verso uno dei cancelli dell’Acquasola su Via IV Novembre e giù verso Corvetto. Nel breve tratto non avevo idea di cosa dirgli se non che possedevo molti sui dischi (vero in parte: ne avevo sì, ma non tutti), lui annuì sorridendo e quando arrivammo nell’ultimo tratto di Via XII Ottobre, poco prima di Corvetto, vide il busto dedicato ad Aldo Gastaldi, si fermò e mi disse: “Ma chi è?”. Io risposi che era un partigiano, anzi il primo partigiano italiano e che era morto subito dopo la Liberazione in un incidente stradale.
Da lì arrivammo alla tabaccheria, entrò, ne uscì subito e mi disse: “Grazie, vado a riposare in albergo”. Mi diede la mano e ci lasciammo.
Alla sera ci fu il concerto, molta gente, ricordo diverse canzoni tratte dall’album “Automobili” e la famosissima “4 marzo 1943“.
A molti, in particolare a coloro che sono la “Generazione Z”, ovvero nati tra il 1996 ed il 2010, il nome Gary Brooker dirà poco.
Gary Brooker, purtroppo scomparso il 22 febbraio di quest’anno dopo una lunga malattia, è stato il fondatore e l’anima di uno dei complessi rock britannici attivi in particolare tra gli anni ’60 e ’70 del Novecento: i Procol Harum.
I Procol Harum sono particolarmente noti per una canzone, “A Whiter Shade of Pale” che è considerato uno dei brani più importanti del “Progressive Rock“, ove la musica Rock si fondeva a strumentazioni classiche e jazz, con l’uso dell’organo Hammond, del pianoforte e del violino.
Gary Brooker nel 1967 compose la musica di A Whiter Shade of Pale con un arrangiamento che prendeva spunto alcuni brani di Sebastian Bach, e magistralmente suonato con l’organo Hammond.
Il testo della canzone fu scritto da Keith Reid, in seguito paroliere per tutti i successivi brani della band, e sembrerebbe un viaggio onirico in una stanza dove il brusio della gente era esmpre più forte ed il soffitto volava via, magari mediato da qualche droga. In realtà, molti anni dopo, Keith Reid dichiarò che voleva descrivere una coppia nel momento in cui la donna decide di lasciare l’uomo, con l’alcool che cerca di limitare il dolore. Un testo indubbiamente complesso ed anche lo stesso autore non ha mai spiegato cosa c’entrasse il mugnaio (the miller) che racconta la sua storia.
Il brano, uscito in un 45 giri, ebbe un grande successo ed il titolo, che tradotto è “Una tonalità più bianca del pallido“, è diventata una frase di uso abbastanza comune.
Una cosa abbastanza curiosa, in Italia ne venne fatta una cover da Mogol, “Senza luce“, cantata dal gruppo dei Dik Dik, che però manteneva solo la melodia, con un testo del tutto diverso. La canzone originale ebbe, comunque, un grande successo anche in Italia restando per lungo tempo nella “Hit Parade“.
I Procol Harum uscirono l’anno successivo con un’altra bellissima canzone “Homburg“, ed anche qui la voce di Gary raggiunge dei livelli altissimi, così come l’orchestrazione. Anche in questo caso, come spesso accadeva allora, fu fatta una cover in italiano con un testo meno complesso, eseguita dai Camaleonti, “L’ora dell’amore“.
Purtroppo i Procol Harum conclusero la loro carriera verso la metà degli anni ’70, salvo riprendere con il nuovo millenio, una attività prevalentemente di revival.
Una delle poesie di Eugenio Montale che quasi tutti gli studenti italiani hanno avuto il piacere di affrontare (quelli della mia età anche studiare a memoria) è “Meriggiare pallido ed assorto“. Una bellissima poesia dei oltre 100 anni fa, esattamente del 1916, pubblicata nel 1925 nella raccolta “Ossi di Seppia” in cui il Poeta espone .
Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d’orto, ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia spiar le file di rosse formiche ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare lontano di scaglie di mare mentre si levano tremuli scricchi di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
Lungi da me l’idea di farne la parafrasi, di interpretare il testo, parlare della mancata armonia tra l’uomo e la natura, il “male di vivere“, la solitudine dell’uomo, chiuso da un’impenetrabile muraglia che sl colmo ha “cocci aguzzi di bottiglia“.
Proprio di quei cocci voglio parlare, in quanto proprio oggi sono passato in una breve crêuza che congiunge Corso Magenta a Via Goffredo Mameli. La crêuza è delimitata nei primi dua tratti da muri di confine oltre i quali vi sono giardini privati. Su quei muri bianchi di calce sono cementati frammenti di bottiglia, colli spezzati, taglienti rivolti verso l’alto ad incutere timore agli incauti violatori delle proprietà che sono oltre il muro.
I cocci di bottiglia sui muri sono tipici dei paesaggi liguri, a Genova anche in piena città. Erano un tempo, ma spesso anche ora, usati in quanto non costavano nulla, rispetto a filo spinato o punte metalliche, bastava un po’ di malta sl colmo del muro e lì si cementavano i cocci. E duravano, non si arrugginivano, erano sempre taglienti anche dopo decenni.
In conclusione non posso esimermi da un ricordo del prof. Angelo Marchese, mio docente di Lettere al Liceo Colombo nei primi anni ’70 del Novecento, purtroppo scomparso da molti anni. Devo a lui, uno dei più importanti studiosi di Montale e il più importante esponente della critica letteraria semiologico-strutturalista, l’interesse che coltivo per la poesia montaliana (e per molte altre cose…).