Sandro Pertini, comandante partigiano, socialista, medaglia d’oro della Resistenza e Presidente della Repubblica dal 1978 al 1985 muore a Roma il 24 febbraio 1990.
Vorrei ricordarlo riportando il suo discorso tenuto il 28 giugno 1960 a Genova, in occasione della rivolta contro l’ipotesi di un congresso neofascista che sarebbe dovuto tenersi nella città medaglia d’oro della Resistenza.
Discorso di Sandro Pertini
Genova, Piazza della Vittoria, 28 giugno 1960
Gente del popolo, partigiani e lavoratori, genovesi di tutte le classi sociali.
Le
autorità romane sono particolarmente interessate e impegnate a trovare coloro
che esse ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste
manifestazioni di antifascismo.
Ma
non fa bisogno che quelle autorità si affannino molto: ve lo dirò io, signori,
chi sono i nostri sobillatori: eccoli qui, eccoli accanto alla nostra bandiera:
sono i fucilati del Turchino, della Benedicta, dell’Olivetta e di Cravasco,
sono i torturati della casa dello Studente che risuona ancora delle urla
strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori.
Nella
loro memoria, sospinta dallo spirito dei partigiani e dei patrioti, la folla genovese
è scesa nuovamente in piazza per ripetere “no” al fascismo, per
democraticamente respingere, come ne ha diritto, la provocazione e l’offesa.
Io
nego – e tutti voi legittimamente negate – la validità della obiezione secondo
la quale il neofascismo avrebbe diritto di svolgere a Genova il suo congresso.
Infatti, ogni atto, ogni manifestazione, ogni iniziativa, di quel movimento è
una chiara esaltazione del fascismo e poiché il fascismo, in ogni sua forma è
considerato reato dalla Carta Costituzionale, l’attività dei missini si traduce
in una continua e perseguibile apologia di reato.
Si
tratta del resto di un congresso che viene qui convocato non per discutere, ma
per provocare, per contrapporre un vergognoso passato alla Resistenza, per
contrapporre bestemmie ai valori politici e morali affermati dalla Resistenza.
Ed
è ben strano l’atteggiamento delle autorità costituite le quali, mentre hanno
sequestrato due manifesti che esprimevano nobili sentimenti, non ritengono
opportuno impedire la pubblicazione dei libelli neofascisti che ogni giorno
trasudano il fango della apologia del trascorso regime, che insultano la
Resistenza, che insultano la Libertà.
Dinanzi
a queste provocazioni, dinanzi a queste discriminazioni, la folla non poteva
che scendere in piazza, unita nella protesta, né potevamo noi non unirci ad
essa per dire no come una volta al fascismo e difendere la memoria dei nostri
morti, riaffermando i valori della Resistenza.
Questi
valori, che resteranno finché durerà in Italia una Repubblica democratica sono:
la libertà, esigenza inalienabile dello spirito umano, senza distinzione di
partito, di provenienza, di fede. Poi la giustizia sociale, che completa e
rafforza la libertà, l’amore di Patria, che non conosce le follie
imperialistiche e le aberrazioni nazionalistiche, quell’amore di Patria che
ispira la solidarietà per le Patrie altrui.
La
Resistenza ha voluto queste cose e questi valori, ha rialzato le glorie del
nostro nuovamente libero paese dopo vent’anni di degradazione subita da coloro
che ora vorrebbero riapparire alla ribalta, tracotanti come un tempo.
La
Resistenza ha spazzato coloro che parlando in nome della Patria, della Patria
furono i terribili nemici perché l’hanno avvilita con la dittatura, l’hanno
offesa trasformandola in una galera, l’hanno degradata trascinandola in una
guerra suicida, l’hanno tradita vendendola allo straniero.
Noi,
oggi qui, riaffermiamo questi principi e questo amor di patria perché
pacatamente, o signori, che siete preposti all’ordine pubblico e che bramate
essere benevoli verso quelli che ho nominato poc’anzi e che guardate a noi, ai
cittadini che gremiscono questa piazza, considerandoli nemici della Patria,
sappiate che coloro che hanno riscattato l’Italia da ogni vergogna passata,
sono stati questi lavoratori, operai e contadini e lavoratori della mente, che
noi a Genova vedemmo entrare nelle galere fasciste non perché avessero rubato,
o per un aumento di salario, o per la diminuzione delle ore di lavoro, ma
perché intendevano battersi per la libertà del popolo italiano, e, quindi,
anche per le vostre libertà.
È
necessario ricordare che furono quegli operai, quegli intellettuali, quei
contadini, quei giovani che, usciti dalle galere si lanciarono nella guerra di
Liberazione, combatterono sulle montagne, sabotarono negli stabilimenti,
scioperarono secondo gli ordini degli alleati, furono deportati, torturati e
uccisi e morendo gridarono “Viva l’Italia”, “Viva la Libertà”.
E
salvarono la Patria, purificarono la sua bandiera dai simboli fascista e
sabaudo, la restituirono pulita e gloriosa a tutti gli italiani.
Dinanzi
a costoro, dinanzi a questi cittadini che voi spesso maledite, dovreste invece
inginocchiarvi, come ci si inginocchia di fronte a chi ha operato eroicamente
per il bene comune.
Ma
perché, dopo quindici anni, dobbiamo sentirci nuovamente mobilitati per
rigettare i responsabili di un passato vergognoso e doloroso, i quali tentano
di tornare alla ribalta?
Ci
sono stati degli errori, primo di tutti la nostra generosità nei confronti
degli avversari. Una generosità che ha permesso troppe cose e per la quale oggi
i fascisti la fanno da padroni, giungendo a qualificare delitto l’esecuzione di
Mussolini a Milano. Ebbene, neofascisti che ancora una volta state nell’ombra a
sentire, io mi vanto di avere ordinato la fucilazione di Mussolini, perché io e
gli altri, altro non abbiamo fatto che firmare una condanna a morte pronunciata
dal popolo italiano venti anni prima.
Un
secondo errore fu l’avere spezzato la solidarietà tra le forze antifasciste,
permettendo ai fascisti d’infiltrarsi e di riemergere nella vita nazionale, e
questa frattura si è determinata in quanto la classe dirigente italiana non ha
inteso applicare la Costituzione là dove essa chiaramente proibisce la
ricostituzione sotto qualsiasi forma di un partito fascista ed è andata più in
là, operando addirittura una discriminazione contro gli uomini della
Resistenza, che è ignorata nelle scuole; tollerando un costume vergognoso come
quello di cui hanno dato prova quei funzionari che si sono inurbanamente
comportati davanti alla dolorosa rappresentanza dei familiari dei caduti.
E’
chiaro che così facendo si va contro lo spirito cristiano che tanto si predica,
contro il cristianesimo di quegli eroici preti che caddero sotto il piombo
fascista, contro il fulgido esempio di Don Morosini che io incontrai in carcere
a Roma, la vigilia della morte, sorridendo malgrado il martirio di giornate di
tortura. Quel Don Morosini che è nella memoria di tanti cattolici, di tanti
democratici, ma che Tambroni ha tradito barattando il suo sacrificio con 24
voti, sudici voti neofascisti.
Si
va contro coloro che hanno espresso aperta solidarietà, contro i Pastore,
contro Bo, Maggio, De Bernardis, contro tutti i democratici cristiani che
soffrono per la odierna situazione, che provano vergogna di un connubio
inaccettabile.
Oggi
le provocazioni fasciste sono possibili e sono protette perché in seguito al
baratto di quei 24 voti, i fascisti sono nuovamente al governo, si sentono
partito di governo, si sentono nuovamente sfiorati dalla gloria del potere,
mentre nessuno tra i responsabili, mostra di ricordare che se non vi fosse
stata la lotta di Liberazione, l’Italia, prostrata, venduta, soggetta
all’invasione, patirebbe ancora oggi delle conseguenze di una guerra infame e
di una sconfitta senza attenuanti, mentre fu proprio la Resistenza a recuperare
al Paese una posizione dignitosa e libera tra le nazioni.
Il
senso, il movente, le aspirazioni che ci spinsero alla lotta, non furono
certamente la vendetta e il rancore di cui vanno cianciando i miserabili
prosecutori della tradizione fascista, furono proprio il desiderio di ridare
dignità alla Patria, di risollevarla dal baratro, restituendo ai cittadini la
libertà. Ecco perché i partigiani, i patrioti genovesi, sospinti dalla memoria dei
morti sono scesi in Piazza: sono scesi a rivendicare i valori della Resistenza,
a difendere la Resistenza contro ogni oltraggio, sono scesi perché non vogliono
che la loro città, medaglia d’oro della Resistenza, subisca l’oltraggio del
neofascismo.
Ai
giovani, studenti e operai, va il nostro plauso per l’entusiasmo, la fierezza.,
il coraggio che hanno dimostrato. Finché esisterà una gioventù come questa
nulla sarà perduto in Italia.
Noi
anziani ci riconosciamo in questi giovani. Alla loro età affrontavamo, qui
nella nostra Liguria, le squadracce fasciste. E non vogliamo tradire, di questa
fiera gioventù, le ansie, le speranze, il domani, perché tradiremmo noi stessi.
Così, ancora una volta, siamo preparati alla lotta, pronti ad affrontarla con
l’entusiasmo, la volontà la fede di sempre.
Qui
vi sono uomini di ogni fede politica e di ogni ceto sociale, spesso tra loro in
contrasto, come peraltro vuole la democrazia. Ma questi uomini hanno saputo
oggi, e sapranno domani, superare tutte le differenziazioni politiche per
unirsi come quando l’8 settembre la Patria chiamò a raccolta i figli minori,
perché la riscattassero dall’infamia fascista.
A
voi che ci guardate con ostilità, nulla dicono queste spontanee manifestazioni
di popolo? Nulla vi dice questa improvvisa ricostituita unità delle forze della
Resistenza?
Essa
costituisce la più valida diga contro le forze della reazione, contro ogni
avventura fascista e rappresenta un monito severo per tutti. Non vi riuscì il
fascismo, non vi riuscirono i nazisti, non ci riuscirete voi.
Noi,
in questa rinnovata unità, siamo decisi a difendere la Resistenza, ad impedire
che ad essa si rechi oltraggio.
Questo
lo consideriamo un nostro preciso dovere: per la pace dei nostri morti, e per
l’avvenire dei nostri vivi, lo compiremo fino in fondo, costi quello che costi.