In cima cocci aguzzi di bottiglia

Una delle poesie di Eugenio Montale che quasi tutti gli studenti italiani hanno avuto il piacere di affrontare (quelli della mia età anche studiare a memoria) è “Meriggiare pallido ed assorto“. Una bellissima poesia dei oltre 100 anni fa, esattamente del 1916, pubblicata nel 1925 nella raccolta “Ossi di Seppia” in cui il Poeta espone .

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

Lungi da me l’idea di farne la parafrasi, di interpretare il testo, parlare della mancata armonia tra l’uomo e la natura, il “male di vivere“,  la solitudine dell’uomo, chiuso da un’impenetrabile muraglia che sl colmo ha “cocci aguzzi di bottiglia“.

Proprio di quei cocci voglio parlare, in quanto proprio oggi sono passato in una breve crêuza che congiunge Corso Magenta a Via Goffredo Mameli. La crêuza è delimitata nei primi dua tratti da muri di confine oltre i quali vi sono giardini privati. Su quei muri bianchi di calce sono cementati frammenti di bottiglia, colli spezzati, taglienti rivolti verso l’alto ad incutere timore agli incauti violatori delle proprietà che sono oltre il muro.

I cocci di bottiglia sui muri sono tipici dei paesaggi liguri, a Genova anche in piena città. Erano un tempo, ma spesso anche ora, usati in quanto non costavano nulla, rispetto a filo spinato o punte metalliche, bastava un po’ di malta sl colmo del muro e lì si cementavano i cocci. E duravano, non si arrugginivano, erano sempre taglienti anche dopo decenni.

In conclusione non posso esimermi da un ricordo del prof. Angelo Marchese, mio docente di Lettere al Liceo Colombo nei primi anni ’70 del Novecento, purtroppo scomparso da molti anni. Devo a lui, uno dei più importanti studiosi di Montale e il più importante esponente della critica letteraria semiologico-strutturalista, l’interesse che coltivo per la poesia montaliana (e per molte altre cose…).

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