C’è il fast food, ovvero mangiare un piatto o un panino veloce. c’è il fast sex, quello “da una botta e via” per dirla con Fabrizio De Andrè, ma c’è anche il fast tourism, ovvero il turismo veloce. Ovviamente questo tipo di turismo è più praticato nei viaggi organizzati, nelle escursioni di gruppo ma anche come optional nelle crociere.
Spesso, frequentando la zona di Castelletto, mi sono chiesto quanto fosse davvero “fast” questo turismo. In altre parole, quanto di Genova e delle sue meraviglie resti a chi lo pratica. Beh il modo migliore è quello di osservare un gruppo di turisti, meglio se stranieri, nella sosta che compiono lì a Castelletto nel giro panoramico della città.
Lo schema è sempre lo stesso: i pullman arrivano in Piazza Villa, cercano un posto dove stazionare, di solito sulla fermata del bus 36; lì scendono cercando di non allontanarsi dal gruppo (non per nulla le guide hanno un cartello o semplicemente un ombrellino per farsi riconoscere), e velocemente si portano al Belvedere Montaldo. Lì la guida, nella lingua dei turisti, spiega in poche parole cosa possono vedere, di solito la Lanterna, il Porto, i tetti del Centro storico, niente di più.
Sono ben pochi i turisti che prestono attenzione; infatti la maggior parte si fa dei selfie con il/la proprio/a compagna, qualcuno si fa fotografare davanti al portone del palazzo chè c’è sul belvedere (bello, invidia per chi ci abita, ma di nessun pregio storico), altri, più intelligenti, si fanno fotografare davanti all’ascensore di levante, pur non capendo che è proprio un ascensore.
Pochi minuti e la guida alza il suo vessillo e tutti di corsa o quasi ritornano al pullman.
Stamattina è arrivato in Piazza Villa un pullman, ne sono discese una quarantina di turisti, alcuni di lingua inglese, altri spagnola. Erano le 11.00, come da foto.
Si sono diretti al Belvedere Montaldo, mettendoci circa 5 minuti (c’era anche un turista in carrozzina), io sono rimasto a prendere un po’ di fresco su una panchina e dopo 18 minuti, alle 11.18 come da foto, ecco ritornare la frotta e salire sul pullman che è velocemente ripartito.
Quindi se ai 18 minuti totali ne togliamo più o meno 10, vediamo che il panorama di Genova, da uno dei suoi punti più belli, è durato la bellezzadi 8 (otto) minuti. Insomma, una “sveltina” culturale…
A questo punto mi viene da pensare che l’interesse culturale, storico, architettonico della nostra città per questa tipologia di turisti, ahimè la più frequente, è molto vicino allo zero.
Possiamo domandarci: “Ma serve alla città il turismo croceristico ?” Personalmente io credo che quello sopra visto non serva a nulla: i croceristi di quel tipo, i mordi e fuggi, non spendono un centesimo in città, in quanto le visite guidate sono gestite dalla compagnia di navigazione, si portano le bottigliette d’acqua, non comprano nulla, non entrano in un bar, niente. A questo punto non sarebbe meglio portarli in altri posti, ad esempio l’Outlet di Serravalle o, se il tempo è poco, l’Ipercoop o la Fiumara ? Ne guadagnerebbe il commercio, e ne guadagnerebbero in salute gli abitanti della Circonvallazione a Monte, non essendoci più il traffico dei pullmann turistici.
Per finire, ecco le foto di un gruppo di turisti la maggior parte dei quali nemmeno si gira per vedere il panorama.
Si è concluso l’evento velistico Ocean Race, fortemente voluto dall’amministrazione comunale di Genova, molto usa al “Panem et Circenses” piuttosto che a lavorare seriamente per migliorare la vivibilità ed fermare la continua migrazione di genovesi verso altre città.
Il sindaco Bucci aveva pronosticato la presenza di almeno 300.000 visitatori nei giorni della kermesse. Alla conclusione della stessa ecco che il personaggio, credendo di avere dei concittadini che credono alle favole, ha sparato la cifra di 600.000 visitatori: insomma, un successo epocale.
Chi abita dalle parti della ex-fiera del mare, ora “Waterfront” (in costruzione) avrà notato che i parcheggi della zona erano ampiamente disponibili, anche nelle immediate vicinanze, gli stalli provvisori di Corso Aurelio Saffi e Corso Maurizio Quadrio mai utilizzati, se non in minima parte di fronte le Mura delle Grazie, però sicuramente da visitatori del Porto antico e dell’Acquario che, come è noto, è lì vicino.
Forse qualcuno deve aver fatto capire al dogetto che l’aveva sparata grossa, per cui ecco che l’ineffabile tira fuori dal cappello il suo coniglio: il numero previsto è stato ampiamente superato, anzi raddoppiato, facendo entrare nella conta sia chi ha partecipato alle attività specifiche dell’Ocean Race, ma anche chi è andato al concerto dell’azienda di mutande, poi alla passeggiata musicale e, questa è davvero grande, anche chi era al Porto Antico dove c’è l’Acquario.
Già che c’era poteva anche inserire nella conta chi viaggiava nel tratto genovese dell’autostrada, chi usciva o entrava nella Sopraelevata, chi abitando alla Foce portava il cane a pisciare o il sacchetto della rumenta, chi voleva farsi una passeggiata in Corso Italia, o, come ho fatto io, una ai Parchi di Nervi.
La sparata dei 600.000 visitatori dell’Ocean Race deve aver fatto sorridere anche gli addetti ai lavori, ovvero chi era dentro lo spazio dedicato alla manifestazione e che ha potuto constatare che le presenze erano una frazione di quante dichiarate.
Ed ecco il secondo coniglio: l’esimio doge forse si è accorto di averla sparata grossa e, nelle successive dichiarazioni alla stampa, ha corretto un po’ il tiro: sono sempre 600.000 i visitatori ma forse un po’ di persone sono state contate due volte, magari tre, quattro. Come dire che uno davvero interessato se è andato 3 o 4 volte a vedere le barche, poi a mangiare un panino al Porto Antico, magari una visita all’Acquario, poi il concerto, la sfilata, magari si è fermato per cena, magari ha pernottato ed ecco che uno vale 9/10.
Parliamone seriamente: 300.000, 600.000, 1.000.000, financo un fantastilione di disneyana memoria, sono cifre sparate ad mentula canis. Con i numeri non si può scherzare, e la Statistica è scienza basata sui numeri, non sulle apparenze o sulle convenienze, ma sulla rilevazione di un fenomeno e di quante volte lo stesso si replica.
Pertanto, Bucci deve giustificare scientificamente i numeri da lui sparati pubblicamente, come essi siano stati rilevati, gli eventuali metodi di rielaborazione. Questo è un obbligo morale nei confronti della cittadinanza. In difetto egli apparirà come un venditore di fumo.
I dati che potrebbero servire a ridare un po’ di valore statistico alle sparate del doge sono l’utilizzo dei parcheggi all’uopo approntati e di quelli al Porto antico, il numero di ticket emessi, la durata delle soste, il numerodi visitatori dell’Acquario nei medesimi giorni, le occupazioni alberghiere, i coperti ai ristoranti, l’utilizzo dei mezzi di trasporto. Tutti dati da paragonare a quelli della settimana precedente e della successiva all’evento.
Un esempio: è stato detto da qualcuno che nei dieci giorni della manifestazione tuttti gli hotel di Genova e vicinanze erano “sold out“, come sempre avviene per i Saloni nautici. Io ho provato su due piattaforme di booking online a prenotare una camera per il weekend 1/2 luglio: tutti gli hotel avevano posti disponibili, di diverse tipologie di camere, anche se i prezzi erano abbastanza alti.
Solo conoscendo questi dati, e quelli relativi agli impegni di spesa del Comune e alle sponsorizzazioni si potrà verificare se la manifestazione ha avuto successo oppure sia stato un flop clamoroso.
Spero che l’opposizione in Consiglio Comunale una volta per tutte tiri fuori gli attributi e contesti questi dati e, soprattutto, chieda che sia reso pubblico quanto l’evento sia costato alla città, ad oggi, e non con formule di comodo tipo “ci sarà un ritorno nel 2024/2025” perchè non vorrei che debbano essere i cittadini di Genova a pagare, con aumenti di aliquote IMU e per la TARI o tagli di servizi, eventuali e forse probabili buchi di bilancio.
Nella primavera del 1960 si consumò una delle tante crisi governative della Prima repubblica. Il Governo presieduto da Antonio Segni per contrasti interni entrò in crisi. La principale motivazione il tentativo della Sinistra DC di operare una cauta apertura al Partito Socialista per la formazione di un gabinetto di centro-sinistra.
Il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, fallito un altro tentativo di Segni, diede l’incarico ad un altro esponente della Sinistra DC, Fernando Tambroni, già ministro economico. Tambroni riuscì solo a formare un governo monocolore con lo scopo di sistemare i conti dello Stato. Presentatosi alle Camere il Governo Tambroni ottenne una risicata maggioranza avvalendosi dei voti del MSI, il partito neofascista.
A seguito di proteste per aver accettato i voti neofascisti, tre ministri lasciarono l’esecutivo e Tambroni fu costretto a rassegnare le dimissioni. Dimissioni che, però, non vennero accettate dal Presidente Gronchi che rinviò Tambroni alle camere. In Senato ottenne la fiducia con minimo scarto e l’appoggio esterno determinante del MSI.
In questo contesto politico, fortemente polarizzato, si inserisce la convocazione del congresso del MSI a Genova per la fine di Giugno 1960.
Tale convocazione fu subito fortemente criticata in quanto Genova la città che per prima si era liberata per azione dei propri Partigiani e per questo insignita della medaglia d’oro al valor militare.
Oltre a ciò il congresso avrebbe dovuto svolgersi al Teatro Margherita di via XX Settembre, a 10 metri dal Ponte Monumentale, sotto il quale è il sacrario dei caduti Partigiani e ove è posta una lapide con l’atto di resa delle forze naziste.
Verso i primi giorni di giugno nell’edizione locale dell’Unità fu pubblicato un appello affinché l’oltraggio alla città Medaglia d’oro fosse evitato, non consentendo lo svolgimento del congresso. Esponenti dei partiti comunista, socialista, socialdemocratico, repubblicano e radicale si riunirono ed insieme alla Camera del Lavoro chiesero ufficialmente al Prefetto l’annullamento del congresso neofascista.
Il 15 giugno una manifestazione di lavoratori vide l’attacco provocatorio di alcuni missini, presto respinti, ma anche di un plotone di carabinieri che colpirono selettivamente gli antifascisti.
La settimana successiva, il 25, fu indetta una manifestazione da parte della FGCI, della FGSIe delle organizzazioni giovanili di PSD e PRI e con la partecipazione di numerosi portuali della CULMV e della Pietro Chiesa. In via XX Settembre, nei pressi del Ponte Monumentale, il corteo fu oggetto di una carica della polizia, carica prontamente respinta, con diversi agenti feriti.
In quei giorni si ebbe la notizia che al congresso del MSI avrebbe partecipato Carlo Emanuele Basile, famigerato prefetto di Genova durante la Repubblica sociale. Questo personaggio fu responsabile di arresti di partigiani e di deportazioni di civili, fatti per i quali fu condannato a morte e successivamente assolto per insufficienza di prove e, per alcuni reati, amnistiato. Basile era divenuto un dirigente di spicco del MSI.
Questo fatto inasprì ulteriormente gli animi degli antifascisti genovesi che convocarono per il 28 giugno una memorabile manifestazione, conclusasi in Piazza della Vittoria con l’intervento di Sandro Pertini, allora direttore de Il Lavoro e parlamentare socialista, oltre che medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza.
Questa frase di Pertini talmente infuocò gli animi tanto che fu soprannominato “brichetto”, in genovese “fiammifero”:
“La polizia sta cercando i sobillatori di queste manifestazioni, non abbiamo nessuna difficoltà ad indicarglieli: sono i fucilati del Turchino, di Cravasco, della Benedicta, i torturati della casa dello studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori.”
La Camera del Lavoro convocò, quindi, una manifestazione di protesta per il giorno 30 giugno. Questa manifestazione, partendo da Piazza della Nunziata, si portò tranquillamente attraverso il centro fino a Piazza della Vittoria. Al termine del comizio del Segretario della Camera del Lavoro Bruno Pigna, un gruppo di antifascisti, per lo più portuali della CULMV risalì la via XX Settembre e si soffermò davanti al teatro Margherita, fortemente presidiato dalla celere, e poi a Piazza De Ferrari. Qui si trovavano intorno alla fontana diversi agenti e funzionari della celere di Padova, famosa per essere costituita da molti ex poliziotti della RSI o, comunque, collusi con il regime fascista e perciò utilizzata nell’ambito di scioperi e manifestazioni di lavoratori.
Dai lavoratori si levarono urla di protesta ed insulti, e la celere reagì con caroselli delle camionette e manganellate ai manifestanti. Questi, come detto in prevalenza portuali, per cui molti di loro avevano con sé il famoso gancio, principale strumento di lavoro che, volendo, poteva rivelarsi un’arma micidiale riuscirono a impadronirsi di tubi, bastoni ed altro materiale da un cantiere adiacente il teatro Carlo Felice, con i quali risposero fieramente ai celerini.
Di questi fatti ho personalmente un ricordo. Infatti, bambino di 6 anni e mezzo, stavo tornando a casa insieme a mia nonna e questa, alla vista della battaglia che si stava svolgendo, mi portò dietro una delle colonne di portici dell’Accademia da cui potei sbirciare quanto stava succedendo. Di quanto accadde ricordo il fumo, le urla, le frenate delle camionette, un portuale con la maglietta a strisce ed il gancio alla cintura e la testa insanguinata, un paio di celerini gettati nella fontana, altri portuali che portavano via un giovane celerino svenuto, per metterlo in salvo e proteggendolo dall’ira di altri gridando, in genovese “Lascielou stà, u lè in figgeu”.
Nei giorni successivi in altre parti d’Italia si ebbero manifestazioni antifasciste e scontri, e questi ebbero il giusto risultato di far annullare il congresso neofascista.
Un paio di giorni dopo una grande manifestazione, a cui parteciparono esponenti antifascisti di spicco, sancì la vittoria della Genova antifascista.
Sono passati 60 anni da quelle giornate memorabili, il neofascismo in questi anni ha rialzato il capo, magari sotto mentite spoglie, come quelle leghiste-sovraniste, oppure più palesemente come “fascisti del terzo millennio”, e in tutte le sue forme deve essere combattuto, con ogni mezzo, dalla democrazia.
Come scrisse Sandro Pertini:
“Io non sono credente, ma rispetto la fede dei credenti; io sono socialista, ma rispetto la fede politica degli altri e la discuto, polemizzo con loro, ma loro sono padroni di esprimere liberamente il pensiero. Il fascismo no, il fascismo lo combatto con altro animo: il fascismo non può essere considerato una fede politica; il fascismo è l’antitesi delle fedi politiche, il fascismo è in contrasto con le vere fedi politiche perché il fascismo opprimeva chi non la pensava come lui”.
30 giugno 1960:Genova antifascista insorge contro il governo Tambroni
L’ 11 gennaio di 24 anni Fabrizio De Andrè se ne andò. Ricordo ancora quella mattinata del 1999 quando, a scuola, in un momento libero lessi la notizia su un giornale online.
Notizia, almeno per me, giunta come un fulmine a ciel sereno, non sapendo che da tempo Fabrizio stava lottando e, purtroppo, soccombendo al male.
E subito mi riportarono alla mente le sue canzoni più famose, a partire da “Il testamento” che, adolescente e alla metà degli anni ’60 o poco più, sentivo ripetutamente in un juke-box di un bar dell’entroterra genovese.
Una canzone che molti miei coetanei non apprezzavano, forse non capivano, qualche ragazza allora arrossiva al sentire “la rendita di una puttana“, ma che per me era la rappresentazione del mondo di Fabrizio, il mondo degli ultimi, degli esclusi.
A volte con le 100 lire sceglievo tre volte questa canzone, oppure una volta il lato B, la “Ballata del Michè“.
Poi altre canzoni, da “La città vecchia“, a “Bocca di rosa“, “Carlo Martello“, “La ballate del Michè” già citata, passando per la famosissima “Canzone di Marinella“.
“Bocca di rosa” fu anche al centro di una invenzione con i miei compagni di classe al Liceo classico Colombo, in quanto la traducemmo in latino, strofa per strofa. Ne ricordo ancora alcune, forse con errori grammaticali: “Via Agri est quendam virgo, labiae rubri coloratae, oculi grandes quam strada, nascuntur flores ubicumque iter facit.” (mi scuso per eventuali errori,ma è passato più di mezzo secolo…)
Qualche anno dopo ebbi l’occasione di incontrare Fabrizio per una strana coincidenza. Come spesso accadeva in quegli anni, i primi anni ’70, i ragazzi spesso si incontravano alla sera per partite di calcio in piazze della città. Con alcuni amici fui invitato nella zona di Carignano dove d’estate si sfidavano diverse squadre provenienti dai vari quartieri del centro
Una ventina di coetanei e qualche giovane con una manciata di anni di più. Uno di quelli era Fabrizio, forse accompagnava qualcuno, in quanto non ricordo che giocasse, e ma lo osservai costantemente con la sigaretta in bocca, pensoso, quasi estraniato e ricordo di aver detto ad un amico che era esattamente come nella foto di questa copertina.
Negli anni successivi, ne seguii la strada verso il successo, ascoltando non più al juke-box ma su dischi o musicassette tutte le storie raccontate da Fabrizio, senza perderne mai alcuna.
Rimasi turbato quando seppi del rapimento in Sardegna, sentendomi un po’ colpevole, in quanto traggo le mie origini, da parte paterna, proprio da quella zona, Tempio Pausania. Una esperienza lunga, dura e difficile per lui e per Dori Ghezzi, ma dalla quale uscì senza odiare i rapitori e quasi giustificando e provando pietà per quei pastori anch’essi parte del mondo degli ultimi. Dopo 117 giorni, il 21 dicembre 1979, furono rilasciati ed ebbe a dire ” Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai“.
E’ stato grande, forse il più grande autore della seconda metà del ‘900, e il mio più grande rammarico, da ex-docente, è che di lui ve ne è solo piccola traccia nei testi di letteratura del ‘900 e, cosa ancor più grave, quasi sempre non trattato per “mancanza di tempo”.
Corso Italia da da tempo avrebbe diventare una “promenade” come quella “Des Anglais” di Nizza o come la “Croisette” di Cannes. Invece è rimasta una passeggiata distante almeno 50/100 metri dal mare, spazio in cui, senza soluzione di continuità o quasi, vi sono stabilimenti balneari.
Comunque passeggiando sul marciapiedi lato mare è sempre gradevole, specie nelle giornate non estive, quelle un po’ uggiose o scaldate da un tiepido sole.
Una ventina di anni fa la pavimentazione del marciapiede a mare fu completamente rifatto, con ottimi risultati. Piastrelle color mattone scuro, altre più chiare vicine alle precedenti, altre a disegnare rose dei venti.
Qualche anno fa il sindaco Bucci decise di disegnare una pista ciclabile restringendo le corsie per le auto, sia dal lato mare che da quello a monte. Un idea davvero infausta, in quanto lo spazio per i pochi ciclisti era delimitato solo da una striscia bianca, e quindi la pericolosità per chi la percorreva era decisamente elevata.
Lo scorso anno lo stesso ineffabile sindaco decise per un rifacimento completo del marciapiede e delle corsie stradali a monte, creando in tal modo una pista ciclabile, rubando un po’ di spazio al marciapiede e un po’ alla corsia stradale.
Il lavori che dovevano essere conclusi prima dell’estate, sono stati completati in ritardo intono a metà agosto. Quello che ancora resta da completare sono le panchine con fioriere, visto che è stato scelto un tipo che è in orribile cemento e che dovrebbe essere rivestito di finto granito.
Di una cosa, però, non si parla: del marciapiede. Questo presenta diverse mattonelle divelte, altre spaccate, le giunture tra file di mattonelle si sono allargate tanto da consentire la crescita di erba all’interno, altar vegetazione è nata tra la pavimentazione e le balaustre, belle ma prive di manutezione e spesso usate come orinatoi di cani.
Insomma, il degrado del marciapiede è evidente e non si sa se si provvederà ad una adeguata manutenzione.
Questo è il risultato di anni di incuria da parte della amministrazione comunale che, sfortunatamente, è appena stata rieletta, per cui avrà davanti molti anni per proseguire nel favorire il degrado della città.
Vittorio De Scalzi, voce e chitarra dei New Trolls è morto oggi a Roma all’età di 72 anni. Fondatore di uno dei complessi di rock progressivo più famosi degli anni ’60 e ’70, ha continuato negli anni successivi allo scioglimento del complesso, a proporre brani senza tempo, come “Una carezza della sera”, “Signore, io sono Irish”, “Una miniera” e l’opera rock “Concerto Grosso”.
Lo ricordo in una interpretazione, purtroppo di scarsa qualità, del 1979 di “Una carezza della sera“.
Via Cesare Corte è una strada della Circonvallazione a Monte di Genova, che si diparte da Corso Solferino e percorre il perimetro di Villa Gruber De Mari, fino a Salita Santa Maria della Sanità.
Una strada che non ha molta importanza, se non per lo strano muro di cui ho parlato in questo video. Proprio ieri mi sono accorto di un’altra stranezza. Dopo pochi metri dal Corso Solferino, la via Cesare Corte compie un’ampia curva delimitando un largo terrapieno, incolto, brullo, ma che presenta tre manufatti in metallo che sono, o dovrebbero essere, delle installazioni artistiche.
Se così è, perchè lasciarle arrugginire in un campo incolto ? Perchè non mettere una targa con il nome dell’artista ed il titolo dell’opera ?
Se invece non sono una installazione artistica, a cosa servono ?
Mistero….
P.S. in ogni modo qule terreno incolto fa veramente schifo e non si capisce perchè ASTER non provveda allo sfalcio e alla manutenzione.
Come visto in precedenza, l’acquedotto genovese una volta entrato in quella che oggi è nota come “Circonvallazione a monte”, si divideva in due rami. A ponente il ramo di Castelletto, a levante il ramo delle Fucine.
La divisione tra i due rami avveniva in quella che oggi è corso Magenta, in prossimità di via Mameli. Il ramo delle Fucine scendeva per il bosco dei Cappuccini verso la villetta Di Negro, alimentava la cascata scenografica, e si portava alle spalle di Palazzo Spinola, ora sede della Città metropolitana e della Prefettura.
Un tratto di condotta su archi è visibile accedendo in via Grenchen sul lato sinistro del palazzo della Città metropolitana (in pratica ove è l’autorimessa).
Da lì la condotta superava con un ponte canale salita Santa Caterina e si dirigeva con un percorso che non è più verificabile, verso la collina di Piccapietra, passando per le strade ove avevano sede sia tintori che fucine di metalli e passava accanto alla Porta Aurea, non più visibile.
Da lì la condotta si portava su Porta Soprana e proseguiva sul percorso delle mura medievali, su quella che oggi è chiamato passo delle Murette. Da notare che detto passo, pur pubblico, non è accessibile in quanto chiuso da un cancello che limita l’accesso ai soli abitanti.
Interessante osservare sul lato posteriore della Porta Soprana due cannoni d’acqua piombati.
Sotto il passo delle Murette, dal lato di levante, si possono osservare un arco tra edifici in vico Gattilusio e in salita di Coccagna, diversi bronzini numerati ed un lavatoio.
Dall’altro lato del passo delle Murette, in quelli chiamati Giardini Baltimora, si osservano i Lavatoi del Barabino o della Marina. Questi lavatoi erano posizionati alla fine di via della Marina, e furono spostati a seguito della trasformazione urbanistica della zona. Sono un reperto storico interessante in quanto risalgono al periodo della Repubblica di Genova, completati nel 1797.
Superata via Ravasco, la condotta si divideva in un tratto che alimentava la cisterna pubblica di piazza Sarzano ed una che passava dapprima per vico San Salvatore, inserendosi tra gli edifici, e poi per Campopisano.
Da lì proseguiva per le mura delle Grazie, fino alla cisterna che si trovava interrata sotto la piazza omonima.