Comizio Pertini

30 giugno 1960: le giornate di Genova antifascista

Nella primavera del 1960 si consumò una delle tante crisi governative della Prima repubblica. Il Governo presieduto da Antonio Segni per contrasti interni entrò in crisi. La principale motivazione il tentativo della Sinistra DC di operare una cauta apertura al Partito Socialista per la formazione di un gabinetto di centro-sinistra.

Il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, fallito un altro tentativo di Segni, diede l’incarico ad un altro esponente della Sinistra DC, Fernando Tambroni, già ministro economico. Tambroni riuscì solo a formare un governo monocolore con lo scopo di sistemare i conti dello Stato. Presentatosi alle Camere il Governo Tambroni ottenne una risicata maggioranza avvalendosi dei voti del MSI, il partito neofascista.

A seguito di proteste per aver accettato i voti neofascisti, tre ministri lasciarono l’esecutivo e Tambroni fu costretto a rassegnare le dimissioni. Dimissioni che, però, non vennero accettate dal Presidente Gronchi che rinviò Tambroni alle camere. In Senato ottenne la fiducia con minimo scarto e l’appoggio esterno determinante del MSI.

In questo contesto politico, fortemente polarizzato, si inserisce la convocazione del congresso del MSI a Genova per la fine di Giugno 1960.

Tale convocazione fu subito fortemente criticata in quanto Genova la città che per prima si era liberata per azione dei propri Partigiani e per questo insignita della medaglia d’oro al valor militare.

Oltre a ciò il congresso avrebbe dovuto svolgersi al Teatro Margherita di via XX Settembre, a 10 metri dal Ponte Monumentale, sotto il quale è il sacrario dei caduti Partigiani e ove è posta una lapide con l’atto di resa delle forze naziste.

Verso i primi giorni di giugno nell’edizione locale dell’Unità fu pubblicato un appello affinché l’oltraggio alla città Medaglia d’oro fosse evitato, non consentendo lo svolgimento del congresso. Esponenti dei partiti comunista, socialista, socialdemocratico, repubblicano e radicale si riunirono ed insieme alla Camera del Lavoro chiesero ufficialmente al Prefetto l’annullamento del congresso neofascista.

Il 15 giugno una manifestazione di lavoratori vide l’attacco provocatorio di alcuni missini, presto respinti, ma anche di un plotone di carabinieri che colpirono selettivamente gli antifascisti.

La settimana successiva, il 25, fu indetta una manifestazione da parte della FGCI, della FGSIe delle organizzazioni giovanili di PSD e PRI e con la partecipazione di numerosi portuali della CULMV e della Pietro Chiesa. In via XX Settembre, nei pressi del Ponte Monumentale, il corteo fu oggetto di una carica della polizia, carica prontamente respinta, con diversi agenti feriti.

In quei giorni si ebbe la notizia che al congresso del MSI avrebbe partecipato Carlo Emanuele Basile, famigerato prefetto di Genova durante la Repubblica sociale. Questo personaggio fu responsabile di arresti di partigiani e di deportazioni di civili, fatti per i quali fu condannato a morte e successivamente assolto per insufficienza di prove e, per alcuni reati, amnistiato. Basile era divenuto un dirigente di spicco del MSI.

Questo fatto inasprì ulteriormente gli animi degli antifascisti genovesi che convocarono per il 28 giugno una memorabile manifestazione, conclusasi in Piazza della Vittoria con l’intervento di Sandro Pertini, allora direttore de Il Lavoro e parlamentare socialista, oltre che medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza.

Questa frase di Pertini talmente infuocò gli animi tanto che fu soprannominato “brichetto”, in genovese “fiammifero”:

“La polizia sta cercando i sobillatori di queste manifestazioni, non abbiamo nessuna difficoltà ad indicarglieli: sono i fucilati del Turchino, di Cravasco, della Benedicta, i torturati della casa dello studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori.”

La Camera del Lavoro convocò, quindi, una manifestazione di protesta per il giorno 30 giugno. Questa manifestazione, partendo da Piazza della Nunziata, si portò tranquillamente attraverso il centro fino a Piazza della Vittoria. Al termine del comizio del Segretario della Camera del Lavoro Bruno Pigna, un gruppo di antifascisti, per lo più portuali della CULMV risalì la via XX Settembre e si soffermò davanti al teatro Margherita, fortemente presidiato dalla celere, e poi a Piazza De Ferrari. Qui si trovavano intorno alla fontana diversi agenti e funzionari della celere di Padova, famosa per essere costituita da molti ex poliziotti della RSI o, comunque, collusi con il regime fascista e perciò utilizzata nell’ambito di scioperi e manifestazioni di lavoratori.

Dai lavoratori si levarono urla di protesta ed insulti, e la celere reagì con caroselli delle camionette e manganellate ai manifestanti. Questi, come detto in prevalenza portuali, per cui molti di loro avevano con sé il famoso gancio, principale strumento di lavoro che, volendo, poteva rivelarsi un’arma micidiale riuscirono a impadronirsi di tubi, bastoni ed altro materiale da un cantiere adiacente il teatro Carlo Felice, con i quali risposero fieramente ai celerini.

Di questi fatti ho personalmente un ricordo. Infatti, bambino di 6 anni e mezzo, stavo tornando a casa insieme a mia nonna e questa, alla vista della battaglia che si stava svolgendo, mi portò dietro una delle colonne di portici dell’Accademia da cui potei sbirciare quanto stava succedendo. Di quanto accadde ricordo il fumo, le urla, le frenate delle camionette, un portuale con la maglietta a strisce ed il gancio alla cintura e la testa insanguinata, un paio di celerini gettati nella fontana, altri portuali che portavano via un giovane celerino svenuto, per metterlo in salvo e proteggendolo dall’ira di altri gridando, in genovese “Lascielou stà, u lè in figgeu”.

Nei giorni successivi in altre parti d’Italia si ebbero manifestazioni antifasciste e scontri, e questi ebbero il giusto risultato di far annullare il congresso neofascista.

Un paio di giorni dopo una grande manifestazione, a cui parteciparono esponenti antifascisti di spicco, sancì la vittoria della Genova antifascista.

Sono passati 60 anni da quelle giornate memorabili, il neofascismo in questi anni ha rialzato il capo, magari sotto mentite spoglie, come quelle leghiste-sovraniste, oppure più palesemente come “fascisti del terzo millennio”, e in tutte le sue forme deve essere combattuto, con ogni mezzo, dalla democrazia.

Come scrisse Sandro Pertini:

“Io non sono credente, ma rispetto la fede dei credenti; io sono socialista, ma rispetto la fede politica degli altri e la discuto, polemizzo con loro, ma loro sono padroni di esprimere liberamente il pensiero. Il fascismo no, il fascismo lo combatto con altro animo: il fascismo non può essere considerato una fede politica; il fascismo è l’antitesi delle fedi politiche, il fascismo è in contrasto con le vere fedi politiche perché il fascismo opprimeva chi non la pensava come lui”.

 

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La diga sul torrente Noci

Articolo dell’ Ing. Ugo Bossi, pubblicato sul Bollettino municipale della Grande Genova n° 7 – ottobre 1928

 

Da molti anni ormai l’opinione pubblica genovese era saltuariamente richiamata – specialmente durante il ripetersi dei periodi di grande siccità o durante l’esposizione di programmi elettorali – sul problema del suo approvvigionamento idrico che sempre più si manifestava insufficiente ed inadeguato ai bisogni della città.

Molti progetti furono in discussione, molti studi interessanti e precisi furono fatti.

Ma solamente nell’immediato dopo guerra – quando verificandosi pure in Genova il fenomeno dell’accentramento di popolazione si dimostrò di conseguenza la soluzione del “problema dell’acqua” ormai improrogabile – fu dall’Amministrazione Comunale decisa la costruzione di un nuovo acquedotto. Fra i diversi studi che l’Ufficio tecnico municipale aveva approntati e raccolti con l’oculata e tenace attività dell’ing. Bologna preposto alla sezione acquedotti, l’Acquedotto di Valle Noci apparve quello immediatamente realizzabile e capace di un ulteriore sviluppo che potesse per un lungo periodo di anni garantire l’approvvigionamento di acque confacente alle esigenze dello sviluppo cittadino e dell’igiene sociale.

Si trattava di costruire nella valle appunto del torrente Noci – che scende dal monte Candelozzo (m. 1034) quale affluente di sinistra dello Scrivia dopo essersi confuso nelle acque del Laitona o rivo di Creto – un serbatoio artificiale che trattenendo le acque di piena e quelle provenienti dalle sorgenti nei periodi di morbida, potesse permettere la continua erogazione di una sufficiente quantità di acqua capace, almeno in un primo tempo, di sopperire unitamente agli altri acquedotti esistenti alle più urgenti esigenze della Città. Nel mentre già si prevedeva e si avanzavano le opportune domande di concessione per addurre in seguito nello stesso bacino del Noci quantità non indifferenti delle acque che copiose scorrono nella non lontana Valle del Trebbia.

Un altro vantaggio che pare ed è essenziale dell’acquedotto di Valle Noci, consiste – data la quota sul livello del mare del serbatoio di raccolta – nel poter distribuire acqua potabile a quota alta, 430 circa sulle alture della città, vale a dire poco sotto il forte Sperone. Lo sviluppo edilizio avrà nuove possibilità di estendersi verso l’alto delle pendici montuose al disopra dell’attuale circonvallazione a monte ed oltre il tracciato della nuova circonvallazione. L’acquedotto Valle Noci potrà consegnare acque alle regioni di Quezzi, al Monte, a S. Martino ed a tutta la parte alta ad oriente ed occidente della città.

Nel 1923 il Comune di Genova appaltava i primi lotti di lavoro e precisamente la diga di sbarramento e le gallerie-canale.

La diga di sbarramento rappresenta certamente la parte più importante dell’insieme del nuovo acquedotto ed è attualmente una delle maggiori in costruzione in Italia ed in Europa.

Nella valle del Noci – un tempo silenziosa e solitaria dove pochissime famiglie vivevano dedite all’agricoltura ed alla pastorizia – ebbero inizio nello stesso anno 1923 i lavori di impianto del cantiere e di scavo delle fondazioni. Lavori proseguiti nel 1924 e che subirono qualche rallentamento dovuto al cambiamento del tipo dello sbarramento a seguito dell’intervento dei superiori uffici tecnici governativi.

Dal 1925 ad oggi il lavoro di costruzione della diga, spinto al massimo rendimento mediante l’impiego dei più perfezionati meccanismi ed impianti indicati dalla moderna tecnica di siffatto genere di costruzioni, ha condotto lo sbarramento ad un punto tale della sua erezione da permettere di prevederne con sicurezza la ultimazione entro il prossimo 1929.

La diga, che dovrà sopportare la spinta di 55 metri d’altezza d’acqua, si eleva complessivamente sulle rocce di fondazione per ml. 59,20. Con l’altezza di ritenuta di 55 ml. è possibile trattenere nella valle sbarrata circa quattro milioni di metri cubi di acqua con il che si possono erogare continuamente per ogni minuto secondo litri 265 di acqua da distribuirsi in città facendo fronte, senza dover diminuire tale erogazione, al più lungo prevedibile periodo di siccità assoluta.

A tali previsioni si è giunti mediante la raccolta accurata di osservazioni pluviometriche e di portata del torrente che ebbero inizio nel 1906 e proseguite ininterrotte fino ad oggi. Gli studi di valenti specialisti in materia di cose idrauliche e le deduzioni fatte sulla base di quelle osservazioni forniscono ogni migliore garanzia nei riguardi della capacità del bacino del Noci a consegnare ogni minuto secondo i 265 litri preventivati.

La diga del tipo “a gravità”, resistente cioè in virtù del proprio peso, ha profilo verticale triangolare raccordato in alto con un arco di cerchio ad un dado di coronamento che costituisce il ciglio e sul quale saranno sistemate le manovre delle opere di presa e degli scaricatori profondi e superficiali occorrenti per la sicurezza e per l’esercizio del bacino.

La pianta della diga è curvilinea con un raggio di curvatura di ml. 250. L’opera muraria ultimata avrà un volume di circa 130.000 metri cubi. È costruita in calcestruzzo di cemento di Casale e blocchi di pietrame annegati nel calcestruzzo. Misura alla base a contatto della roccia di fondazione una larghezza massima di metri 44 ed alla risega di base è larga ml. 40,42. Il ciglio, della larghezza di ml. 4, verrà a trovarsi alla quota 540,50 sul livello del mare mentre il livello massimo al quale potranno giungere le acque del lago avrà la quota 537,50.

Particolare cura hanno richiesto e richiedono gli scavi di fondazione e per le imposte laterali i quali vengono spinti nei fianchi delle falde di sponda fino a che non si incontrano i banchi di roccia perfettamente sani ed in posto. Questo lavoro di approntamento della fondazione che richiede attenzioni particolari rappresenta forse la parte più delicata dell’opera. Trivellazioni delle roccie di fondo nella parte centrale della valle furono eseguite con l’impiego di macchine speciali e furono gradualmente prelevati i campioni delle roccie sottostanti fino ad una profondità di metri 22, sotto il piano della più bassa fondazione. L’esito di tali esplorazioni è stato sotto ogni aspetto soddisfacente.

Un impianto di distribuzione del calcestruzzo a gravità mediante una torre distributrice di 80 metri di altezza permette di colare il calcestruzzo allo stato elastico su tutta l’ampiezza della diga.

Impianti speciali provvedono alla frantumazione della pietra per l’approntamento del pietrisco ed alla macinazione per la preparazione delle sabbie. Gli agglomeranti provenienti da Casale giungono a mezzo ferrovia a Busalla da dove vengono trasportati con autocarri fino in cantiere essendo questo raccordato, mediante un chilometro di strada ruotabile appositamente costruita, alla provinciale Doria-Creto-Montoggio per Busalla.

Il lavoro di getto del calcestruzzo è possibile solamente nei mesi da aprile a novembre e deve rimanere sospeso nel periodo invernale per il pericolo di congelamento dei calcestruzzi scendendo la temperatura costantemente sotto lo zero durante la notte sino a raggiungere a volte -12 gradi centigradi.

Sono impiegati nei lavori giornalmente circa 300 operai ed ogni giorno si gettano in media 300 metri cubi di sbarramento: vale a dire, giornalmente, si rimuovono, si manipolano e si collocano in opera circa 700 tonnellate di materiali. A tutt’oggi si sono scavati circa 85.000 metri cubi di terre e rocce ed i 100.000 mc. di sbarramento eseguito, raggiungendo i 45 metri d’altezza sulla fondazione, hanno implicato il consumo di 230.000 quintali di cemento, di 45.000 mc. di sabbia, di 80.000 mc. di pietrisco e si sono collocate in opera 48.000 tonnellate di blocchi di pietra.

Queste cifre – meglio di ogni descrizione – potranno rendere l’idea del lavoro titanico che si va compiendo e della grandiosità e poderosità degli impianti che si è reso conveniente installare.

L’ufficio tecnico municipale dei Lavori Pubblici ha distaccato in Valle Noci una Direzione locale che direttamente provvede agli studi ed alla direzione tecnica e sorveglianza dell’opera, affidata per l’esecuzione alla Impresa Ingg. Marasi e Gallo.

Meccanismi particolarmente studiati provvederanno a smaltire durante le piene le acque superflue ed eccedenti, in modo tale da garantire la sicurezza dell’opera.

Infatti lo scaricatore di superficie e la valvola di fondo permetteranno di scaricare automaticamente od a comando almeno 160 metri cubi di acqua al minuto secondo mentre è prevedibile, dato il bacino imbrifero a monte dello sbarramento di chilometri quadrati 7,5, potersi avere defluenti piene massime di 150 mc. al secondo.

L’opera di presa appositamente studiata sarà capace di erogare almeno 800 litri al secondo prevedendo in ciò il completamento dell’acquedotto Noci colle acque del Trebbia. Le bocche di emungimento permetteranno di erogare sempre acqua profonda e quindi più pura. Le più basse saracinesche di presa hanno il centro di figura posto alla quota 503 sul mare.

Un’apposita tubazione di ghisa della lunghezza di metri 80 e del diametro interno di m. 0,800 condurrà le acque dalla diga alla galleria-canale Monte Sanguineto che dopo 1000 metri di percorso sbocca in sponda destra della valle del Laitona o rivo di Creto di fronte all’abitato di Acquafredda (frazione del comune di Montoggio). Sopra il letto del Laitona, previa arginatura e copertura verrà sistemato l’edifizio di filtrazione delle acque.

La sistemazione dei filtri in questa località è stata recentemente voluta con illuminata previdenza dal Podestà di Genova On. Broccardi perché fosse possibile immettere nella galleria-canale M. Alpe immediatamente dopo la filtrazione acque pure e pronte per essere distribuite allo sbocco nel vallone di Molassana sul territorio entrato a far parte della Grande Genova. Le acque del Noci attraverso la galleria M. Alpe vengono condotte dal versante adriatico (Scrivia-Po) al versante tirrenico nella valle del Bisagno.

Le due gallerie di 1000 e 1700 metri rispettivamente sono terminate e quasi pronte ad entrare in esercizio. Quanto prima verrà posto mano alla costruzione dell’edifizio per la filtrazione mentre già si sta ponendo in opera sulla apposita sede stradale costruita la tubazione di adduzione. Questa ha uno sviluppo di chilometri 10,5 e viene adagiata lungo le pendici del versante di Val Bisagno del M. Mezzano, del Butegna, del Crovo, del Corvo raggiungendo il valico obbligatorio della Torrazza a quota 360,80. Da qui la tubazione, risalendo di quota, si sposta per breve tratto sul versante del Polcevera per ritornare su quello del Bisagno lungo le falde del M. Bastia, del Diamante, dei Due Fratelli, del Puin fino al forte dello Sperone alla quota 430 circa sul livello del mare.

I tubi di ghisa formanti la tubulatura principale hanno il diametro interno di ml. 0,500 e seguono fin come e dove possibile l’andamento delle falde montuose.

Occorre trasportare e porre in opera circa 2000 tonnellate di materiali che per la loro fragilità e la loro mole rendono quanto mai delicato e malagevole il lavoro.

Serbatoi di regolazione, una piccola centrale elettrica che sfrutterà il salto compreso tra la tubulatura a servizio della parte alta della città e quella a servizio della parte bassa e tutte le tubulature di distribuzione completeranno l’opera.

Queste a grandi linee le caratteristiche del nuovo acquedotto di Valle Noci che tra non molto potrà entrare in funzione.

Come già si è detto, in un secondo tempo l’opera verrà integrata mediante l’allacciamento alle valli dell’alta Trebbia.

 La costituzione del Consorzio Aveto-Trebbia tra i Comuni e le Provincie di Genova e Piacenza ha permesso di regolare tutte le questioni inerenti al trasporto delle acque da un versante all’altro.

Così l’Acquedotto di Valle Noci raggiungerà la sua massima importanza – veramente notevole – quando sarà integrato colla derivazione di Val Trebbia (da sorgenti dell’alta valle del Brugneto sotto l’Antola e da serbatoio artificiale) con una portata di litri 500 al minuto secondo e colla possibilità di aumentarla, qualora occorresse. Le gallerie-canale dell’Acquedotto di Valle Noci sono già disposte a doppio canale per convogliare distintamente, occorrendolo, le acque del versante Scrivia e del Trebbia. La portata complessiva dell’Acquedotto potrà così raggiungere gli 800 litri al secondo.

Il percorso occorrente per la conduttura dal Brugneto al Noci consterà di cinque gallerie-canale della lunghezza complessiva di Km. 9,500 e di Km. 2,500 di tubulatura all’aperto: un totale quindi di 12 chilometri.

L’Acquedotto di Valle Noci, studiato e costruito con tutti gli accorgimenti e gli insegnamenti della tecnica moderna, ha per la sua mole e la sua importanza l’impronta della romanità ed è e sarà opera ben degna della Grande Genova.

Valle Noci, 30 settembre 1928.

 

 

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Piazza del Portello: il garage della vergogna

Piazza del Portello è una piazza della Genova ottocentesca creata abbattendo le mura medievali, per le quali era presente un “portello” per accedere alla città, e creare due gallerie, dapprima tramviarie, così da congiungere facilmente due parti della città.

La piazza non ha particolari aspetti architettonici tali da qualificarla come una delle più belle della città, ma è piuttosto un largo spazio di transito posta tra la Galleria Nino Bixio, dal lato di Levante, e la Galleria Giuseppe Garibaldi a Ponente.

Sul lato verso Via Garibaldi, un tempo nota come “Strada Nuova“, Piazza del Portello definisce il retro di tre importanti palazzi nobiliari, accreditati al Sistema dei Rolli: Il Palazzo Lercari Parodi, il Palazzo Angelo Giovanni Spinola e, sul terrapieno che sovrasta l’ingresso della Galleria Garibaldi, il giardino del Palazzo Nicolosio Lomellino, con un “Mirador” che ricorda un minareto.

Dall’altro lato, quello a monte, sorgono dei palazzi ottocenteschi e sono degni di interesse due dei sistemi di trasporto pubblico verticale della città: la Funicolare di Sant’Anna ed l’ascensore di Castelletto Levante.

Al centro della piazza dal secondo dopoguerra era presente un sottopassaggio che univa le due parti. In esso erano presenti alcuni negozi, un calzolaio, una profumeria ed un piccolo negozio di abbigliamento. Negli ultimi anni del ‘900 a seguito di forti piogge, il sottopassaggio fu danneggiato e, quindi, abbandonato prima dai negozi poi, per evitare pericoli, fu chiuso e il passaggio tra i due lati della piazza lasciato ad un attraversamento semaforico.

In anni recenti l’amministrazione comunale del sindaco Bucci deliberò di affidare i diritti del sottosuolo ad un costruttore suo sostenitore e costui presentò un progetto per la realizzazione di 29 posti auto, con due rampe, una di entrata ed una di uscita, costruite sottraendo parte dei marciapiedi e delle corsia stradali.

E’ notizia di pochi mesi fa che un nobile abitante nei pressi ha intentato una azione legale in quanto, egli sostiene, la maggior parte dei posti auto sono stati acquistati da una sola persona, per altro non abitante nei pressi, mentre dovevano essere considerati pertinenziali.

Ora i lavori sono quasi conclusi, ma l’aspetto della piazza rispetto la precedente situazione è notevolmente peggiorata.

Come detto nel lato a monte della piazza vi è l’uscita della breve galleria che condice all’ascensore Castelletto Levante. Esso è considerato uno dei più belli d’Italia, costruito ai nei primi anni del ‘900 in stile Liberty ed usato, oltre che da genovesi,anche da migliaia di turisti che salgono dal centro storico per arrivare al belvedere di Castelletto e ritornare in centro città.

I turisti salendo o scendendo con l’ascensore si trovano a passare da cabine con bellissimo rivestimento in legno‌ e finiture in ottone, poi per una galleria con alle pareti alcuni bassorilievi in ardesia, quindi escono o entrano da una porta in legno e vetro e si ritrovano a passare a fianco della rampa di accesso al garage, e già non possono che notare sia la bruttezza della ringhiera, nemmeno dignitosa per una porcillaia, sia la pavimentazione fatta di basoli in arenaria ottocenteschi, quelli tolti all’inizio dei lavori, poi da orribili pietre rettangolari “Made in China” ed infine dei basoli lisci, del tutto diversi dai primi.

Non ci vuole un esperto per notare quanto sia osceno l’utilizzo di tre tipologie di pietre in pochi metri, ed anche il fatto che quelle lasciate allo stato originario sono state posate da operai esperti “a secco”, lasciando meno di un centimetro tra una pietra e la contigua. I basoli rimossi sono stati posati “ad mentula canis”, utilizzando cemento o calce adesiva nelle fughe, così da lasciare un margine di colore bianco davvero orribile.

Infine un pedone, sia esso genovese o “foresto” dovrà attraversare la piazza al semaforo, e non potrà che notare la colata di conglomerato bituminoso all’ingresso della rampa del garage, colata che è andata a coprire sia dei basoli, sia i percorsi per non vedenti.

L’alternanza basoli storici e pietracce “cinesi” è evidente anche nel lato a mare della piazza, dove si erge il famoso cubotto dell’ascensore, ora dotato anche di una pensilina/tettoia stile Leroy Marlin, in attesa di miglioramenti. Almeno così sembra.

Il Comune è senz’altro connivente e corresponsabile di questo oltraggio alla città e nulla fa o dice e la Giunta comunale esegue silente gli ordini del “podestà“. il Municipio Centro Est è latitante, il Presidente del Municipio Carratù se ne guarda bene da contestare i lavori fatti, giova ricordarlo da un costruttore che più volte si è dimostrato sodale di Attila …. pardon, di Bucci, il peggior reggitore della cosa pubblica dal tempo dei Dogi.

Resterebbe la ma la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Genova ma essa tace: forse i suoi architetti non passano mai da lì, oppure chiudono gli occhi o hanno un diverso concetto di bello.

Speriamo ci sia un “Giudice a Genova” che indaghi su questo sconcio, vero oltraggio alla città ed ai cittadini.

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Fabrizio De Andrè

25 anni senza Fabrizio De Andrè

L’ 11 gennaio di 25 anni Fabrizio De Andrè se ne andò. Ricordo ancora quella mattinata del 1999 quando, a scuola, in un momento libero lessi la notizia su un giornale online.

Notizia, almeno per me, giunta come un fulmine a ciel sereno, non sapendo che da tempo Fabrizio stava lottando e, purtroppo, soccombendo al male.

E subito mi riportarono alla mente le sue canzoni più famose, a partire da “Il testamento” che, adolescente e alla metà degli anni ’60 o poco più, sentivo ripetutamente in un juke-box di un bar dell’entroterra genovese.

Una canzone che molti miei coetanei non apprezzavano, forse non capivano, qualche ragazza allora arrossiva al sentire “la rendita di una puttana“, ma che per me era la rappresentazione del mondo di Fabrizio, il mondo degli ultimi, degli esclusi.

A volte con le 100 lire sceglievo tre volte questa canzone, oppure una volta il lato B, la “Ballata del Michè“.

Poi altre canzoni, da “La città vecchia“, a “Bocca di rosa“, “Carlo Martello“, “La ballate del Michè” già citata, passando per la famosissima “Canzone di Marinella“.

Bocca di rosa” fu anche al centro di una invenzione con i miei compagni di classe al Liceo classico Colombo, in quanto la traducemmo in latino, strofa per strofa. Ne ricordo ancora alcune, forse con errori grammaticali: “Via Agri est quendam virgo, labiae rubri coloratae, oculi grandes quam strada, nascuntur flores ubicumque iter facit.” (mi scuso per eventuali errori,ma è passato più di mezzo secolo…)

Qualche anno dopo ebbi l’occasione di incontrare Fabrizio per una strana coincidenza. Come spesso accadeva in quegli anni, i primi anni ’70, i ragazzi spesso si incontravano alla sera per partite di calcio in piazze della città. Con alcuni amici fui invitato nella zona di Carignano dove d’estate si sfidavano diverse squadre provenienti dai vari quartieri del centro

Una ventina di coetanei e qualche giovane con una manciata di anni di più. Uno di quelli era Fabrizio, forse accompagnava qualcuno, in quanto non ricordo che giocasse, e ma lo osservai costantemente con la sigaretta in bocca, pensoso, quasi estraniato e ricordo di aver detto ad un amico che era esattamente come nella foto di questa copertina.

Negli anni successivi, ne seguii la strada verso il successo, ascoltando non più al juke-box ma su dischi o musicassette tutte le storie raccontate da Fabrizio, senza perderne mai alcuna.

Rimasi turbato quando seppi del rapimento in Sardegna, sentendomi un po’ colpevole, in quanto traggo le mie origini, da parte paterna, proprio da quella zona, Tempio Pausania. Una esperienza lunga, dura e difficile per lui e per Dori Ghezzi, ma dalla quale uscì senza odiare i rapitori e quasi giustificando e provando pietà per quei pastori anch’essi parte del mondo degli ultimi. Dopo 117 giorni, il 21 dicembre 1979, furono rilasciati ed ebbe a dire ” Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai“.

E’ stato grande, forse il più grande autore della seconda metà del ‘900, e il mio più grande rammarico, da ex-docente, è che di lui ve ne è solo piccola traccia nei testi di letteratura del ‘900 e, cosa ancor più grave, quasi sempre non trattato per “mancanza di tempo”.

Ciao Fabrizio.

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Fast Tourism a Genova

C’è il fast food, ovvero mangiare un piatto o un panino veloce. c’è il fast sex, quello “da una botta e via” per dirla con Fabrizio De Andrè, ma c’è anche il fast tourism, ovvero il turismo veloce. Ovviamente questo tipo di turismo è più praticato nei viaggi organizzati, nelle escursioni di gruppo ma anche come optional nelle crociere.

Spesso, frequentando la zona di Castelletto, mi sono chiesto quanto fosse davvero “fast” questo turismo. In altre parole, quanto di Genova e delle sue meraviglie resti a chi lo pratica. Beh il modo migliore è quello di osservare un gruppo di turisti, meglio se stranieri, nella sosta che compiono lì a Castelletto nel giro panoramico della città.

Lo schema è sempre lo stesso: i pullman arrivano in Piazza Villa, cercano un posto dove stazionare, di solito sulla fermata del bus 36; lì scendono cercando di non allontanarsi dal gruppo (non per nulla le guide hanno un cartello o semplicemente un ombrellino per farsi riconoscere), e velocemente si portano al Belvedere Montaldo. Lì la guida, nella lingua dei turisti, spiega in poche parole cosa possono vedere, di solito la Lanterna, il Porto, i tetti del Centro storico, niente di più.

Sono ben pochi i turisti che prestono attenzione; infatti la maggior parte si fa dei selfie con il/la proprio/a compagna, qualcuno si fa fotografare davanti al portone del palazzo chè c’è sul belvedere (bello, invidia per chi ci abita, ma di nessun pregio storico), altri, più intelligenti, si fanno fotografare davanti all’ascensore di levante, pur non capendo che è proprio un ascensore.

Pochi minuti e la guida alza il suo vessillo e tutti di corsa o quasi ritornano al pullman.

Stamattina è arrivato in Piazza Villa un pullman, ne sono discese una quarantina di turisti, alcuni di lingua inglese, altri spagnola. Erano le 11.00, come da foto.

Si sono diretti al Belvedere Montaldo, mettendoci circa 5 minuti (c’era anche un turista in carrozzina), io sono rimasto a prendere un po’ di fresco su una panchina e dopo 18 minuti, alle 11.18 come da foto, ecco ritornare la frotta e salire sul pullman che è velocemente ripartito.

Quindi se ai 18 minuti totali ne togliamo più o meno 10, vediamo che il panorama di Genova, da uno dei suoi punti più belli, è durato la bellezzadi 8 (otto) minuti. Insomma, una “sveltina” culturale…

A questo punto mi viene da pensare che l’interesse culturale, storico, architettonico della nostra città per questa tipologia di turisti, ahimè la più frequente, è molto vicino allo zero.

Possiamo domandarci: “Ma serve alla città il turismo croceristico ?” Personalmente io credo che quello sopra visto non serva a nulla: i croceristi di quel tipo, i mordi e fuggi, non spendono un centesimo in città, in quanto le visite guidate sono gestite dalla compagnia di navigazione, si portano  le bottigliette d’acqua, non comprano nulla, non entrano in un bar, niente. A questo punto non sarebbe meglio portarli in altri posti, ad esempio l’Outlet di Serravalle o, se il tempo è poco, l’Ipercoop o la Fiumara ? Ne guadagnerebbe il commercio, e ne guadagnerebbero in salute gli abitanti della Circonvallazione a Monte, non essendoci più il traffico dei pullmann turistici.

Per finire, ecco le foto di un gruppo di turisti la maggior parte dei quali nemmeno si gira per vedere il panorama.

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Uno,Trecentomila,Seicentomila…

Si è concluso l’evento velistico Ocean Race, fortemente voluto dall’amministrazione comunale di Genova, molto usa al “Panem et Circenses” piuttosto che a lavorare seriamente per migliorare la vivibilità ed fermare la continua migrazione di genovesi verso altre città.

Il sindaco Bucci aveva pronosticato la presenza di almeno 300.000 visitatori nei giorni della kermesse. Alla conclusione della stessa ecco che il personaggio, credendo di avere dei concittadini che credono alle favole, ha sparato la cifra di 600.000 visitatori: insomma, un successo epocale.

Chi abita dalle parti della ex-fiera del mare, ora “Waterfront” (in costruzione) avrà notato che i parcheggi della zona erano ampiamente disponibili, anche nelle immediate vicinanze, gli stalli provvisori di Corso Aurelio Saffi e Corso Maurizio Quadrio mai utilizzati, se non in minima parte di fronte le Mura delle Grazie, però sicuramente da visitatori del Porto antico e dell’Acquario che, come è noto, è lì vicino.

Forse qualcuno deve aver fatto capire al dogetto che l’aveva sparata grossa, per cui ecco che l’ineffabile tira fuori dal cappello il suo coniglio: il numero previsto è stato ampiamente superato, anzi raddoppiato, facendo entrare nella conta sia chi ha partecipato alle attività specifiche dell’Ocean Race, ma anche chi è andato al concerto dell’azienda di mutande, poi alla passeggiata musicale e, questa è davvero grande, anche chi era al Porto Antico dove c’è l’Acquario.

Già che c’era poteva anche inserire nella conta chi viaggiava nel tratto genovese dell’autostrada, chi usciva o entrava nella Sopraelevata, chi abitando alla Foce portava il cane a pisciare o il sacchetto della rumenta, chi voleva farsi una passeggiata in Corso Italia, o, come ho fatto io, una ai Parchi di Nervi.

La sparata dei 600.000 visitatori dell’Ocean Race deve aver fatto sorridere anche gli addetti ai lavori, ovvero chi era dentro lo spazio dedicato alla manifestazione e che ha potuto constatare che le presenze erano una frazione di quante dichiarate.

Ed ecco il secondo coniglio: l’esimio doge forse si è accorto di averla sparata grossa e, nelle successive dichiarazioni alla stampa, ha corretto un po’ il tiro: sono sempre 600.000 i visitatori ma forse un po’ di persone sono state contate due volte, magari tre, quattro. Come dire che uno davvero interessato se è andato 3 o 4 volte a vedere le barche, poi a mangiare un panino al Porto Antico, magari una visita all’Acquario, poi il concerto, la sfilata, magari si è fermato per cena, magari ha pernottato  ed ecco che uno vale 9/10.

Parliamone seriamente: 300.000, 600.000, 1.000.000, financo un fantastilione di disneyana memoria, sono cifre sparate ad mentula canis. Con i numeri non si può scherzare, e la Statistica è scienza basata sui numeri, non sulle apparenze o sulle convenienze, ma sulla rilevazione di un fenomeno e di quante volte lo stesso si replica.

Pertanto, Bucci deve giustificare scientificamente i numeri da lui sparati pubblicamente, come essi siano stati rilevati, gli eventuali metodi di rielaborazione. Questo è un obbligo morale nei confronti della cittadinanza. In difetto egli apparirà come un venditore di fumo.

I dati che potrebbero servire a ridare un po’ di valore statistico alle sparate del doge sono l’utilizzo dei parcheggi all’uopo approntati e di quelli al Porto antico, il numero di ticket emessi, la durata delle soste, il numerodi  visitatori dell’Acquario nei medesimi giorni, le occupazioni alberghiere, i coperti ai ristoranti, l’utilizzo dei mezzi di trasporto. Tutti dati da paragonare a quelli della settimana precedente e della successiva all’evento.

Un esempio: è stato detto da qualcuno che nei dieci giorni della manifestazione tuttti gli hotel di Genova e vicinanze erano “sold out“, come sempre avviene per i Saloni nautici. Io ho provato su due piattaforme di booking online a prenotare una camera per il weekend 1/2 luglio: tutti gli hotel avevano posti disponibili, di diverse tipologie di camere, anche se i prezzi erano abbastanza alti.

Solo conoscendo questi dati, e quelli relativi agli impegni di spesa del Comune e alle sponsorizzazioni si potrà verificare se la manifestazione ha avuto successo oppure sia stato un flop clamoroso.

Spero che l’opposizione in Consiglio Comunale una volta per tutte tiri fuori gli attributi e contesti questi dati e, soprattutto, chieda che sia reso pubblico quanto l’evento sia costato alla città, ad oggi, e non con formule di comodo tipo “ci sarà un ritorno nel 2024/2025” perchè non vorrei che debbano essere i cittadini di Genova a pagare, con aumenti di aliquote IMU e per la TARI o tagli di servizi, eventuali e forse probabili buchi di bilancio.

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Corso Italia: il degrado della pavimentazione

Corso Italia da da tempo avrebbe diventare una “promenade” come quella “Des Anglais” di Nizza o come la “Croisette” di Cannes. Invece è rimasta una passeggiata distante almeno 50/100 metri dal mare, spazio in cui, senza soluzione di continuità o quasi, vi sono stabilimenti balneari.

Comunque passeggiando sul marciapiedi lato mare è sempre gradevole, specie nelle giornate non estive, quelle un po’ uggiose o scaldate da un tiepido sole.

Una ventina di anni fa la pavimentazione del marciapiede a mare fu completamente rifatto, con ottimi risultati. Piastrelle color mattone scuro, altre più chiare vicine alle precedenti, altre a disegnare rose dei venti.

Qualche anno fa il sindaco Bucci decise di disegnare una pista ciclabile restringendo le corsie per le auto, sia dal lato mare che da quello a monte. Un idea davvero infausta, in quanto lo spazio per i pochi ciclisti era delimitato solo da una striscia bianca, e quindi la pericolosità per chi la percorreva era decisamente elevata.

Lo scorso anno lo stesso ineffabile sindaco decise per un rifacimento completo del marciapiede e delle corsie stradali a monte, creando in tal modo una pista ciclabile, rubando un po’ di spazio al marciapiede e un po’ alla corsia stradale.

Il lavori che dovevano essere conclusi prima dell’estate, sono stati completati in ritardo intono a metà agosto. Quello che ancora resta da completare sono le panchine con fioriere, visto che è stato scelto un tipo che è in orribile cemento e che dovrebbe essere rivestito di finto granito.

Di una cosa, però, non si parla: del marciapiede. Questo presenta diverse mattonelle divelte, altre spaccate, le giunture tra file di mattonelle si sono allargate tanto da consentire la crescita di erba all’interno, altar vegetazione è nata tra la pavimentazione e le balaustre, belle ma prive di manutezione e spesso usate come orinatoi di cani.

Insomma, il degrado del marciapiede è evidente e non si sa se si provvederà ad una adeguata manutenzione.

Questo è il risultato di anni di incuria da parte della amministrazione comunale che, sfortunatamente, è appena stata rieletta, per cui avrà davanti molti anni per proseguire nel favorire il degrado della città.

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Addio a Vittorio De Scalzi

Vittorio De Scalzi, voce e chitarra dei New Trolls è morto oggi a Roma all’età di 72 anni. Fondatore di uno dei complessi di rock progressivo più famosi degli anni ’60 e ’70, ha continuato negli anni successivi allo scioglimento del complesso, a proporre brani senza tempo, come “Una carezza della sera”, “Signore, io sono Irish”, “Una miniera” e l’opera rock “Concerto Grosso”.

Lo ricordo in una interpretazione, purtroppo di scarsa qualità, del 1979 di “Una carezza della sera“.

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