Sopraelevata Aldo Moro: che fare ?

E’ iniziato con largo anticipo il dibattito sull’utilità della sopraelevata Aldo Moro di Genova quando sarà stato costruito il tunnel sub-portuale. Non commento il progetto del tunnel in quanto non ho competenze in merito, ma l’ipotesi di una demolizione di parte o di tutta la sopraelevata mi sembra degna di discussione.

La strada sopraelevata Aldo Moro si estende per 4.5 km, circa 6 km considerando gli accessi, seguendo l’andamento delle strade sottostanti, a loro volta insieme al porto, seguenti la linea di costa.

Fu costruita nei primi 5 anni del ’60 con un uso massivo dell’acciaio, con 201 piloni a sorreggere le due carreggiate, ciascuna a doppia corsia.

la sopraelevata sicuramente ha costituito una cesura tra la città ed il porto, più che altro dal punto di vista visivo e per i palazzi che si trovano a breve distanza, specie nel tratto contiguo a Via Gramsci.

Come ho detto si è trattato di una cesura visiva, in quanto prima della costruzione il porto era già separato con inferriate dalla città. Di questo ne ho memoria diretta. Chi doveva accedere per qualche motivo doveva passare per dei varchi controllati dalla Guardia di Finanza in quanto era frequente il contrabbando.

Ora, con il progetto del tunnel sub-portuale, molti hanno proposto di demolire tutta la sopraelevata, oppure di limitare l’abbattimento alle zone dove l’inquinamento visivo è maggiore, ad esempio la zona di Mura delle Grazie, di Via Turati, di Caricamento, di Via Gramsci.

Questo ricongiungimento città-porto-mare avrebbe un senso ma è da osservare che il mare è quello portuale, non certo quello fruibile per la balneazione. Ed il porto antico è dall’ Expo del 1992 in parte fruibile.

I favorevoli al mantenimento della sopraelevata sostengono che ormai essa è integrata nel panorama della città e i costi di demolizione e riassetto urbanistico sarebbero elevatissimi. Mantenendola insieme al tunnel si avrebbe un doppio percorso che dalla Foce arriva a Sampierdarena, lasciando alle strade storiche il solo traffico locale.

Da qualcuno è anche nata l’idea di lasciare la sopraelevata ma utilizzarla come un percorso verde pedonale e in parte ciclabile, con la possibilità di apprezzare sia le palazzate, sia il porto antico, sia la stazione marittima, ed il porto commerciale, fino alla Lanterna, simbolo della città. Questo potrebbe essere un’idea vincente, ma temo che non sia nelle corde di chi vuole ad ogni costo che ci sia un rientro economico.

Nel video ho registrato l’intero percorso Foce-Sampierdarena per vedere i tempi di percorrenza: a velocità consentita ci ho messo 7 minuti e 20 secondi. Va bene che non era un’ora di grande traffico, ma a me non è mai capitato di vedere code, se non raramente per incidenti.

Quindi concludendo: vale la pena di demolire la sopraelevata Aldo Moro e costruire un tunnel costoso e che molti cittadini non percorreranno per paura di restare intrappolati in caso di incidente ?

Condividi questo:

Bravi ragazzi del Liceo Colombo

Oggi 9 aprile 2023 gli studenti del Liceo C.Colombo di Genova, si sono riuniti in assemblea ed hanno deciso di occupare la scuola per protestare contro le politiche del governo in materia di istruzione, ordine pubblico e politica estera, quest’ultima con particolare riferimento a quanto accade a Gaza.

Come ex alunno del Liceo nei primi anni ’70 non posso che congratularmi con gli studenti per questa iniziativa di lotta, in particolare in relazione al conflitto tra Israele e Gaza, e al vero e proprio genocidio di civili inermi, in particolare bambini, che sta avvenendo nel silenzio colpevole dell’Occidente e, quindi, anche dell’Italia.

Certo non si può e non si deve nascondere la responsabilità di Hamas nel criminale attacco a cittadini israeliani, ma la risposta data da quello stato è unanimemente considerata spropositata, arrivando ai 30000 civili morti nella striscia di Gaza.

Il conflitto tra Palestinesi e Israeliani ha radici profonde, a partire dalla risoluzione ONU 181 del 1947 che attribuiva il 56,47 % del territorio a 500.000 ebrei + 325.000 arabi , il restante 43,53 % del territorio a 807.000 arabi + 10.000 ebrei , la tutela internazionale su Gerusalemme con circa 100.000 ebrei e 105.000 arabi . La risoluzione non fu mai rispettata da parte degli ebrei  e, come conseguenza dell’arrivo di coloro che erano scampati allo sterminio nazista, circa il 70% del territroio palestinese, in particolare le regioni più fertili, fu occupato da ebrei e i palestinesi  relegati in zone più aride.

La successiva risoluzione dell’ONU n.  242 del 1967 obbligava al ritiro delle truppe israeliane dai territori conquistati con la forza, obbligo che Israele ignorò. Nel giugno del 1967 ebbe luogo la “guerra dei sei giorni” tra Israele e gli stati arabi confinanti che si concluse con ulteriori annessioni da parte dello stato sionista: Alture del Golan, Gerusalemme Est, Cisgiordania e Penisola del Sinai.

In seguito, praticamente ogni anno, l’ONU votava una risoluzione in cui si intimava a Israele di ritornare allo status quo definito dalla risoluzione 181, ma il veto degli USA in Consiglio di sicurezza ebbe l’effetto di non rendere esecutiva la stessa.

Nell’ottobre 1973 vi fu una ulteriore guerra tra Israele e la coalizione araba, detta “del Kippur” che si concluse con la riconquista egiziana della penisola del Sinai, ma con la perdita di alcune zone del Golan da parte dei siriani. La guerra si concluse con gli “Accordi di Camp David“, sottoscritti dal presdente egiziano Sadat e dal primo ministro israeliano  in presenza del presidente USA Carter e che prevedevano un trattato di pace tra i due stati ed il ritorno del Sinai al controllo egiziano.

Nei decenni successivi si assistette ad altri conflitti come quelli con il Libano, al tentativo di un nuovo accordo  “Trattato di Oslo” tra Arafat, presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e il primo ministro israeliano Rabin, accordi che sancivano una forma di autonomia della “Autorità Palestinese” in Cisgiordania e nella striscia di Gaza, e la cessazione dell’occupazione di terre da parte di nuovi coloni ebrei, molti dei quali arrivati da paesi dell’Est Europa.

Tali accordi non furono mai compiutamente rispettati, in particolare a causa di sempre più numerosi insediamenti ebraici in Cisgiordania, e ciò portò alle due “Intifada“,  rivolte organizzate per lo più da giovani palestinesi, consistenti nel lancio di pietre alle quali l’esercito sionista rispondeva con armi da fuoco.

Purtroppo le continue violazioni degli accordi, la cacciata di agricoltori palestinesi dai loro terreni per costruirvi insediamenti ebraici, hanno negli anni covato come un fuoco  inarrestabile. Ed i risultati sono quelli che si vedono ora.

Israele ha un solo obiettivo: quello di distruggere completamente la striscia di Gaza, annientare il popolo Gazawi a partire dai bambini, per evitare che tra 10/15 anni possano essere loro a riprendere la lotta per la liberazione della Palestina. E all’occidente dei palestinesi poco importa e nemmeno importa più di tanto ai paesi arabi. Il popolo Gazawi è allo stremo, la Palestina non è Hamas, Israele sta affamando un popolo, ha la responsabilità delle morti di bambini, di volontari di organizzazioni umanitarie, dei medici ed infermieri degli ospedali.

Questo il documento prodotto agli alunni del Liceo Colombo di Genova, documento che da ex-alunno nonchè da docente per 45 anni nella scuola pubblica, sottoscrivo in pieno.

 “Il primo tema su cui ci concentriamo è la guerra in Palestina – scrivono gli studenti e le studentesse del Colombo – o per meglio dire il genocidio in portato avanti da Israele con la partecipazione dell’occidente, il quale non solo affonda le sue radici nell’ingiustizia della creazione di uno stato colonialista in una terra abitata da un altro popolo per millenni, ma che pone come obiettivo quello di compiere una vera e propria pulizia etnica, arrivando ad essere considerato violatore del diritto internazionale perfino dall’ONU, per gentile concessione degli Stati Uniti, che recentemente non hanno più posto il veto ad ogni tentativo di risoluzione pacifica del conflitto. I dati ci pongono davanti ad una situazione che suscita orrore: dal 7 Ottobre si stima che siano morti più di trentamila palestinesi, dei quali almeno diecimila bambini, e che oggi su 2,3 milioni di abitanti della striscia di Gaza il 70% sia afflitto da una carestia operata scientemente dal governo sionista”.

“Il nostro paese però non si limita ad approvare il genocidio, ma protegge attivamente Israele: dal 19 Febbraio tramite l’operazione Aspides infatti l’Italia è ufficialmente parte del conflitto con il compito di difendere le navi commerciali e militari dell’alleanza israelo-occidentale che transitano nel Mar Rosso dalle azioni del governo yemenita Houthi, tese, in solidarietà con il popolo palestinese, ad impedire il traffico marittimo per fermare una situazione inaccettabile. Condanniamo dunque ogni forma di legame con il governo di Israele e ogni partecipazione italiana alla guerra in Palestina, poiché viola i diritti dell’uomo, il diritto internazionale scritto e condiviso da tutti i paesi e l’articolo 11 della nostra costituzione. Questo conflitto si ritrova perfettamente nelle logiche occidentali, che per il guadagno di una ristretta oligarchia finanziano guerre e privatizzano lo stato, rendendolo un’istituzione non rappresentativa per il popolo, bensì per gli interessi dei ricchi. Un sistema che non si basa sulla società ma sul singolo porta all’abbandono del pubblico se non come mezzo di accrescimento finanziario del privato, e ciò lo possiamo notare osservando la situazione in cui versa l’istruzione”.

…….chiediamo quindi al governo italiano di compiere alcune azioni: Vogliamo che sia esplicitamente condannato il genocidio palestinese, che i nostri ambasciatori e i nostri consoli siano ritirati dallo stato di Israele, che la privatizzazione non colpisca la scuola, la quale deve rimanere pubblica senza
alcuna partecipazione delle aziende nel percorso formativo…….”

Condividi questo:
Fabrizio De Andrè

25 anni senza Fabrizio De Andrè

L’ 11 gennaio di 25 anni Fabrizio De Andrè se ne andò. Ricordo ancora quella mattinata del 1999 quando, a scuola, in un momento libero lessi la notizia su un giornale online.

Notizia, almeno per me, giunta come un fulmine a ciel sereno, non sapendo che da tempo Fabrizio stava lottando e, purtroppo, soccombendo al male.

E subito mi riportarono alla mente le sue canzoni più famose, a partire da “Il testamento” che, adolescente e alla metà degli anni ’60 o poco più, sentivo ripetutamente in un juke-box di un bar dell’entroterra genovese.

Una canzone che molti miei coetanei non apprezzavano, forse non capivano, qualche ragazza allora arrossiva al sentire “la rendita di una puttana“, ma che per me era la rappresentazione del mondo di Fabrizio, il mondo degli ultimi, degli esclusi.

A volte con le 100 lire sceglievo tre volte questa canzone, oppure una volta il lato B, la “Ballata del Michè“.

Poi altre canzoni, da “La città vecchia“, a “Bocca di rosa“, “Carlo Martello“, “La ballate del Michè” già citata, passando per la famosissima “Canzone di Marinella“.

Bocca di rosa” fu anche al centro di una invenzione con i miei compagni di classe al Liceo classico Colombo, in quanto la traducemmo in latino, strofa per strofa. Ne ricordo ancora alcune, forse con errori grammaticali: “Via Agri est quendam virgo, labiae rubri coloratae, oculi grandes quam strada, nascuntur flores ubicumque iter facit.” (mi scuso per eventuali errori,ma è passato più di mezzo secolo…)

Qualche anno dopo ebbi l’occasione di incontrare Fabrizio per una strana coincidenza. Come spesso accadeva in quegli anni, i primi anni ’70, i ragazzi spesso si incontravano alla sera per partite di calcio in piazze della città. Con alcuni amici fui invitato nella zona di Carignano dove d’estate si sfidavano diverse squadre provenienti dai vari quartieri del centro

Una ventina di coetanei e qualche giovane con una manciata di anni di più. Uno di quelli era Fabrizio, forse accompagnava qualcuno, in quanto non ricordo che giocasse, e ma lo osservai costantemente con la sigaretta in bocca, pensoso, quasi estraniato e ricordo di aver detto ad un amico che era esattamente come nella foto di questa copertina.

Negli anni successivi, ne seguii la strada verso il successo, ascoltando non più al juke-box ma su dischi o musicassette tutte le storie raccontate da Fabrizio, senza perderne mai alcuna.

Rimasi turbato quando seppi del rapimento in Sardegna, sentendomi un po’ colpevole, in quanto traggo le mie origini, da parte paterna, proprio da quella zona, Tempio Pausania. Una esperienza lunga, dura e difficile per lui e per Dori Ghezzi, ma dalla quale uscì senza odiare i rapitori e quasi giustificando e provando pietà per quei pastori anch’essi parte del mondo degli ultimi. Dopo 117 giorni, il 21 dicembre 1979, furono rilasciati ed ebbe a dire ” Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai“.

E’ stato grande, forse il più grande autore della seconda metà del ‘900, e il mio più grande rammarico, da ex-docente, è che di lui ve ne è solo piccola traccia nei testi di letteratura del ‘900 e, cosa ancor più grave, quasi sempre non trattato per “mancanza di tempo”.

Ciao Fabrizio.

Condividi questo:
Imagine

John Lennon: 8 dicembre 1980

L’otto dicembre 1980  fa un folle, Mark David Chapman, uccideva uno dei più grandi artisti del ‘900.

John Lennon fu assassinato davanti al Dakota Building, il palazzo di New York davanti al Central Park ove John viveva con la moglie Yoko Ono e il figlio Sean. Quella sera i coniugi stavano rincasando quando Chapman, da sempre affetto da una ossessione patologica per i Fab Four ed in particolare per il cantante, lo chiamò sparandogli contro cinque volte con una pistola.

Chapman venne poi arrestato subito dopo in quanto non fuggì in quanto, dopo gli spari, si era messo a leggere il libro di Salinger “Il giovane Holden” che aveva con sé. John, nonostante l’immediato soccorso morì dopo poche ore al Roosvelt Hospital.

Anche dopo questi anni la sua più bella canzone, Imagine, è ancora attuale:

Imagine there’s no heavenIt’s easy if you tryNo hell below usAbove us, only sky
Imagine all the peopleLivin’ for todayAh
Imagine there’s no countriesIt isn’t hard to doNothing to kill or die forAnd no religion, too
Imagine all the peopleLivin’ life in peaceYou
You may say I’m a dreamerBut I’m not the only oneI hope someday you’ll join usAnd the world will be as one
Imagine no possessionsI wonder if you canNo need for greed or hungerA brotherhood of man
Imagine all the peopleSharing all the worldYou
You may say I’m a dreamerBut I’m not the only oneI hope someday you’ll join usAnd the world will live as one

Condividi questo:
The Beatles

Now and Then: il brano finale dei Beatles

E’ stata rilasciata oggi  la versione restaurata di quella che può essere considerata la canzone finale dei Beatles: “Now and Then“.

I Beatles sono stati il fenomeno musicale più importante della seconda metà del XX secolo. Un fenomeno che durò praticamente solo per gli anni ’60 e terminato per una serie di incomprensioni tra i membri del quartetto.

Oggi i Beatles ancora in vita, over 80, sono Paul McCartney e Ringo Star. Gli altri due, John Lennon fu brutalmente assassinato da un pazzo l’8 dicembre del 1980 e George Harrison ucciso da un male incurabile il 29 novembre 2001.

Negli anni a seguire furono fatti diversi tentativi di pubblicare alcuni pezzi rimasti a livello di provini, ma la tecnologia di allora, primo fra tutti il fatto che i brani erano registrati su nastri a quattro piste, non permetteva un risultato ottimale.

Dopo la morte di Lennon Nel 1994, Yoko Ono consegnò a Paul McCartney alcune cassette contenenti registrazioni demo di quattro delle canzoni incompiute di John Lennon: “Free as a Bird“, “Grow Old with Me“, “Real Love” e “Now and Then” con “for Paul” scritto di pugno da John.

I tre Beatles in vita (Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr) non hprovarono mai a lavorare su “Grow Old with Me” in modo simile a come avevano fatto con le altre canzoni della “reunion” degli anni ’90 dei Beatles.

Free as a Bird” e “Real Love” sono stati gli unici completati e pubblicati su “Anthology 1“. I risultati non furono ottimali ed i brani apparivano una specie di mosaico dove la voce di John si capiva subito che era quella degli anni ’70, rielaborata per quanto possibile ma in un certo senso estranea alla base musicale e alle voci degli altri componenti.

I Fab Four provarono anche a lavorare su “Now and Then“, ma decisero di abbandonare il progetto perché il demo originale di Lennon richiedeva troppo lavoro per portarlo allo standard necessario per una pubblicazione.

Ora con la tecnologia “Machine Learning” ha consentito di rendere attuale la voce di Lennon, ed inserirla in “Now and Then” insieme a quelle attuali di Paul e Ringo.

Il brano inizia con la voce di Ringo che dà il tempo “one…two…” e subito Paul inizia con un arpeggio di pianoforte sulla quale la tecnologia fa scivolare la voce, quella degli anni d’oro, di John. Ed è lei, la voce, a portare avanti la musica nella parte in cui la chitarra basso di Paul e la batteria di Ringo sostengono un lento ritornello.

E nella seconda parte ècco l’inedito: le voci di Paul e Ringo si uniscono, come mai accaduto in alti brani dei Fab Four.

Forse George resta un po’ in disparte, ma ecco l’intuizione di Paul: un assolo fi chitarra “sliding” che lascia l’ascoltatore con il respiro sospeso. Ed il brano, passando per una orchestra di archi, tipicamente beatlesiana, si porta alla conclusione dopo 4 minuti ed 8 secondi di pura poesia.

[Introduzione]
(One, two, three)

[Ritornello]
I know it’s true
It’s all because of you
And if I make it through
It’s all because of you

[Strofa 1]
And now and then
If we must start again
Well, we will know for sure
That I will love you

[Coro]
Now and then
I miss you
Oh, now and then
I want you to be there for me
Always to return to me

[Strofa 2]
I know it’s true
It’s all because of you
And if you go away
I know you’ll never stay

[Coro]
Now and then
I miss you
Oh, now and then
I want you to be there for me

[Ponte]
(Ah)
(Ah)
(Ah)
(Ooh)
(Ah)

[Ritornello]
I know it’s true
It’s all because of you
And if I make it through
It’s all because of you

[Conclusione]

Condividi questo:

Fast Tourism a Genova

C’è il fast food, ovvero mangiare un piatto o un panino veloce. c’è il fast sex, quello “da una botta e via” per dirla con Fabrizio De Andrè, ma c’è anche il fast tourism, ovvero il turismo veloce. Ovviamente questo tipo di turismo è più praticato nei viaggi organizzati, nelle escursioni di gruppo ma anche come optional nelle crociere.

Spesso, frequentando la zona di Castelletto, mi sono chiesto quanto fosse davvero “fast” questo turismo. In altre parole, quanto di Genova e delle sue meraviglie resti a chi lo pratica. Beh il modo migliore è quello di osservare un gruppo di turisti, meglio se stranieri, nella sosta che compiono lì a Castelletto nel giro panoramico della città.

Lo schema è sempre lo stesso: i pullman arrivano in Piazza Villa, cercano un posto dove stazionare, di solito sulla fermata del bus 36; lì scendono cercando di non allontanarsi dal gruppo (non per nulla le guide hanno un cartello o semplicemente un ombrellino per farsi riconoscere), e velocemente si portano al Belvedere Montaldo. Lì la guida, nella lingua dei turisti, spiega in poche parole cosa possono vedere, di solito la Lanterna, il Porto, i tetti del Centro storico, niente di più.

Sono ben pochi i turisti che prestono attenzione; infatti la maggior parte si fa dei selfie con il/la proprio/a compagna, qualcuno si fa fotografare davanti al portone del palazzo chè c’è sul belvedere (bello, invidia per chi ci abita, ma di nessun pregio storico), altri, più intelligenti, si fanno fotografare davanti all’ascensore di levante, pur non capendo che è proprio un ascensore.

Pochi minuti e la guida alza il suo vessillo e tutti di corsa o quasi ritornano al pullman.

Stamattina è arrivato in Piazza Villa un pullman, ne sono discese una quarantina di turisti, alcuni di lingua inglese, altri spagnola. Erano le 11.00, come da foto.

Si sono diretti al Belvedere Montaldo, mettendoci circa 5 minuti (c’era anche un turista in carrozzina), io sono rimasto a prendere un po’ di fresco su una panchina e dopo 18 minuti, alle 11.18 come da foto, ecco ritornare la frotta e salire sul pullman che è velocemente ripartito.

Quindi se ai 18 minuti totali ne togliamo più o meno 10, vediamo che il panorama di Genova, da uno dei suoi punti più belli, è durato la bellezzadi 8 (otto) minuti. Insomma, una “sveltina” culturale…

A questo punto mi viene da pensare che l’interesse culturale, storico, architettonico della nostra città per questa tipologia di turisti, ahimè la più frequente, è molto vicino allo zero.

Possiamo domandarci: “Ma serve alla città il turismo croceristico ?” Personalmente io credo che quello sopra visto non serva a nulla: i croceristi di quel tipo, i mordi e fuggi, non spendono un centesimo in città, in quanto le visite guidate sono gestite dalla compagnia di navigazione, si portano  le bottigliette d’acqua, non comprano nulla, non entrano in un bar, niente. A questo punto non sarebbe meglio portarli in altri posti, ad esempio l’Outlet di Serravalle o, se il tempo è poco, l’Ipercoop o la Fiumara ? Ne guadagnerebbe il commercio, e ne guadagnerebbero in salute gli abitanti della Circonvallazione a Monte, non essendoci più il traffico dei pullmann turistici.

Per finire, ecco le foto di un gruppo di turisti la maggior parte dei quali nemmeno si gira per vedere il panorama.

Condividi questo: