Sandro Pertini

Sandro Pertini: 126° dalla nascita

Il 25 settembre 1896 nasceva a Stella San Giovanni Sandro Pertini, una delle più luminose figure del ‘900: combattente nella I guerra mondiale, antifascista, autorevole membro della Resistenza, Presidente della Camera dei Deputati e Presidente della Repubblica.

Un uomo che definire un gigante è riduttivo, soprattutto se paragonato ai politici attuali.

Rimane viva in me la campagna per le elezioni politiche del 1972 e l’onore di averlo potuto conoscere.

Sicuramente attuale questa sua frase:

“Il fascismo per me non può essere considerato una fede politica. Sembra assurdo quello che dico, ma è così: il fascismo a mio avviso è l’antitesi delle fedi politiche, il fascismo è in contrasto con le vere fedi politiche. Non si può parlare di fede politica parlando del fascismo, perché il fascismo opprimeva tutti coloro che non la pensavano come lui.”

Quindi con i fascisti, e con chi ne condivida in parte o in tutto l’ideologia, non deve esistere alcun dialogo; essi non possono essere minimamente considerati parte di uno stato democratico, ma solo nemici da combattere senza esclusione di colpi per eliminarli definitivamente dalla faccia della Terra.

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Auguri al Partigiano Giotto

Giordano Bruschi, il Partigiano Giotto, compie oggi 99 anni. A Lui, memoria storica dell’antifascismo della Val Bisagno che ha incontrato più di 50.000 studenti delle scuole genovesi, ai quali ha raccontato cosa sia stata la guerra di Liberazione ed il ricordo delle centinaia di giovani genovesi che diedero la vita per riscattare l’onore dell’Italia infangato dai fascisti e dai loro alleati nazisti.

Giordano Bruschi viene festeggiato ed onorato oggi nella sua Val Bisagno al Circolo Sertoli.

Auguri Partigiano Giotto.

 

 

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Comizio Pertini

30 giugno 1960: le giornate di Genova antifascista

Nella primavera del 1960 si consumò una delle tante crisi governative della Prima repubblica. Il Governo presieduto da Antonio Segni per contrasti interni entrò in crisi. La principale motivazione il tentativo della Sinistra DC di operare una cauta apertura al Partito Socialista per la formazione di un gabinetto di centro-sinistra.

Il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, fallito un altro tentativo di Segni, diede l’incarico ad un altro esponente della Sinistra DC, Fernando Tambroni, già ministro economico. Tambroni riuscì solo a formare un governo monocolore con lo scopo di sistemare i conti dello Stato. Presentatosi alle Camere il Governo Tambroni ottenne una risicata maggioranza avvalendosi dei voti del MSI, il partito neofascista.

A seguito di proteste per aver accettato i voti neofascisti, tre ministri lasciarono l’esecutivo e Tambroni fu costretto a rassegnare le dimissioni. Dimissioni che, però, non vennero accettate dal Presidente Gronchi che rinviò Tambroni alle camere. In Senato ottenne la fiducia con minimo scarto e l’appoggio esterno determinante del MSI.

In questo contesto politico, fortemente polarizzato, si inserisce la convocazione del congresso del MSI a Genova per la fine di Giugno 1960.

Tale convocazione fu subito fortemente criticata in quanto Genova la città che per prima si era liberata per azione dei propri Partigiani e per questo insignita della medaglia d’oro al valor militare.

Oltre a ciò il congresso avrebbe dovuto svolgersi al Teatro Margherita di via XX Settembre, a 10 metri dal Ponte Monumentale, sotto il quale è il sacrario dei caduti Partigiani e ove è posta una lapide con l’atto di resa delle forze naziste.

Verso i primi giorni di giugno nell’edizione locale dell’Unità fu pubblicato un appello affinché l’oltraggio alla città Medaglia d’oro fosse evitato, non consentendo lo svolgimento del congresso. Esponenti dei partiti comunista, socialista, socialdemocratico, repubblicano e radicale si riunirono ed insieme alla Camera del Lavoro chiesero ufficialmente al Prefetto l’annullamento del congresso neofascista.

Il 15 giugno una manifestazione di lavoratori vide l’attacco provocatorio di alcuni missini, presto respinti, ma anche di un plotone di carabinieri che colpirono selettivamente gli antifascisti.

La settimana successiva, il 25, fu indetta una manifestazione da parte della FGCI, della FGSIe delle organizzazioni giovanili di PSD e PRI e con la partecipazione di numerosi portuali della CULMV e della Pietro Chiesa. In via XX Settembre, nei pressi del Ponte Monumentale, il corteo fu oggetto di una carica della polizia, carica prontamente respinta, con diversi agenti feriti.

In quei giorni si ebbe la notizia che al congresso del MSI avrebbe partecipato Carlo Emanuele Basile, famigerato prefetto di Genova durante la Repubblica sociale. Questo personaggio fu responsabile di arresti di partigiani e di deportazioni di civili, fatti per i quali fu condannato a morte e successivamente assolto per insufficienza di prove e, per alcuni reati, amnistiato. Basile era divenuto un dirigente di spicco del MSI.

Questo fatto inasprì ulteriormente gli animi degli antifascisti genovesi che convocarono per il 28 giugno una memorabile manifestazione, conclusasi in Piazza della Vittoria con l’intervento di Sandro Pertini, allora direttore de Il Lavoro e parlamentare socialista, oltre che medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza.

Questa frase di Pertini talmente infuocò gli animi tanto che fu soprannominato “brichetto”, in genovese “fiammifero”:

“La polizia sta cercando i sobillatori di queste manifestazioni, non abbiamo nessuna difficoltà ad indicarglieli: sono i fucilati del Turchino, di Cravasco, della Benedicta, i torturati della casa dello studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori.”

La Camera del Lavoro convocò, quindi, una manifestazione di protesta per il giorno 30 giugno. Questa manifestazione, partendo da Piazza della Nunziata, si portò tranquillamente attraverso il centro fino a Piazza della Vittoria. Al termine del comizio del Segretario della Camera del Lavoro Bruno Pigna, un gruppo di antifascisti, per lo più portuali della CULMV risalì la via XX Settembre e si soffermò davanti al teatro Margherita, fortemente presidiato dalla celere, e poi a Piazza De Ferrari. Qui si trovavano intorno alla fontana diversi agenti e funzionari della celere di Padova, famosa per essere costituita da molti ex poliziotti della RSI o, comunque, collusi con il regime fascista e perciò utilizzata nell’ambito di scioperi e manifestazioni di lavoratori.

Dai lavoratori si levarono urla di protesta ed insulti, e la celere reagì con caroselli delle camionette e manganellate ai manifestanti. Questi, come detto in prevalenza portuali, per cui molti di loro avevano con sé il famoso gancio, principale strumento di lavoro che, volendo, poteva rivelarsi un’arma micidiale riuscirono a impadronirsi di tubi, bastoni ed altro materiale da un cantiere adiacente il teatro Carlo Felice, con i quali risposero fieramente ai celerini.

Di questi fatti ho personalmente un ricordo. Infatti, bambino di 6 anni e mezzo, stavo tornando a casa insieme a mia nonna e questa, alla vista della battaglia che si stava svolgendo, mi portò dietro una delle colonne di portici dell’Accademia da cui potei sbirciare quanto stava succedendo. Di quanto accadde ricordo il fumo, le urla, le frenate delle camionette, un portuale con la maglietta a strisce ed il gancio alla cintura e la testa insanguinata, un paio di celerini gettati nella fontana, altri portuali che portavano via un giovane celerino svenuto, per metterlo in salvo e proteggendolo dall’ira di altri gridando, in genovese “Lascielou stà, u lè in figgeu”.

Nei giorni successivi in altre parti d’Italia si ebbero manifestazioni antifasciste e scontri, e questi ebbero il giusto risultato di far annullare il congresso neofascista.

Un paio di giorni dopo una grande manifestazione, a cui parteciparono esponenti antifascisti di spicco, sancì la vittoria della Genova antifascista.

Sono passati 60 anni da quelle giornate memorabili, il neofascismo in questi anni ha rialzato il capo, magari sotto mentite spoglie, come quelle leghiste-sovraniste, oppure più palesemente come “fascisti del terzo millennio”, e in tutte le sue forme deve essere combattuto, con ogni mezzo, dalla democrazia.

Come scrisse Sandro Pertini:

“Io non sono credente, ma rispetto la fede dei credenti; io sono socialista, ma rispetto la fede politica degli altri e la discuto, polemizzo con loro, ma loro sono padroni di esprimere liberamente il pensiero. Il fascismo no, il fascismo lo combatto con altro animo: il fascismo non può essere considerato una fede politica; il fascismo è l’antitesi delle fedi politiche, il fascismo è in contrasto con le vere fedi politiche perché il fascismo opprimeva chi non la pensava come lui”.

 

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La diga sul torrente Noci

Articolo dell’ Ing. Ugo Bossi, pubblicato sul Bollettino municipale della Grande Genova n° 7 – ottobre 1928

 

Da molti anni ormai l’opinione pubblica genovese era saltuariamente richiamata – specialmente durante il ripetersi dei periodi di grande siccità o durante l’esposizione di programmi elettorali – sul problema del suo approvvigionamento idrico che sempre più si manifestava insufficiente ed inadeguato ai bisogni della città.

Molti progetti furono in discussione, molti studi interessanti e precisi furono fatti.

Ma solamente nell’immediato dopo guerra – quando verificandosi pure in Genova il fenomeno dell’accentramento di popolazione si dimostrò di conseguenza la soluzione del “problema dell’acqua” ormai improrogabile – fu dall’Amministrazione Comunale decisa la costruzione di un nuovo acquedotto. Fra i diversi studi che l’Ufficio tecnico municipale aveva approntati e raccolti con l’oculata e tenace attività dell’ing. Bologna preposto alla sezione acquedotti, l’Acquedotto di Valle Noci apparve quello immediatamente realizzabile e capace di un ulteriore sviluppo che potesse per un lungo periodo di anni garantire l’approvvigionamento di acque confacente alle esigenze dello sviluppo cittadino e dell’igiene sociale.

Si trattava di costruire nella valle appunto del torrente Noci – che scende dal monte Candelozzo (m. 1034) quale affluente di sinistra dello Scrivia dopo essersi confuso nelle acque del Laitona o rivo di Creto – un serbatoio artificiale che trattenendo le acque di piena e quelle provenienti dalle sorgenti nei periodi di morbida, potesse permettere la continua erogazione di una sufficiente quantità di acqua capace, almeno in un primo tempo, di sopperire unitamente agli altri acquedotti esistenti alle più urgenti esigenze della Città. Nel mentre già si prevedeva e si avanzavano le opportune domande di concessione per addurre in seguito nello stesso bacino del Noci quantità non indifferenti delle acque che copiose scorrono nella non lontana Valle del Trebbia.

Un altro vantaggio che pare ed è essenziale dell’acquedotto di Valle Noci, consiste – data la quota sul livello del mare del serbatoio di raccolta – nel poter distribuire acqua potabile a quota alta, 430 circa sulle alture della città, vale a dire poco sotto il forte Sperone. Lo sviluppo edilizio avrà nuove possibilità di estendersi verso l’alto delle pendici montuose al disopra dell’attuale circonvallazione a monte ed oltre il tracciato della nuova circonvallazione. L’acquedotto Valle Noci potrà consegnare acque alle regioni di Quezzi, al Monte, a S. Martino ed a tutta la parte alta ad oriente ed occidente della città.

Nel 1923 il Comune di Genova appaltava i primi lotti di lavoro e precisamente la diga di sbarramento e le gallerie-canale.

La diga di sbarramento rappresenta certamente la parte più importante dell’insieme del nuovo acquedotto ed è attualmente una delle maggiori in costruzione in Italia ed in Europa.

Nella valle del Noci – un tempo silenziosa e solitaria dove pochissime famiglie vivevano dedite all’agricoltura ed alla pastorizia – ebbero inizio nello stesso anno 1923 i lavori di impianto del cantiere e di scavo delle fondazioni. Lavori proseguiti nel 1924 e che subirono qualche rallentamento dovuto al cambiamento del tipo dello sbarramento a seguito dell’intervento dei superiori uffici tecnici governativi.

Dal 1925 ad oggi il lavoro di costruzione della diga, spinto al massimo rendimento mediante l’impiego dei più perfezionati meccanismi ed impianti indicati dalla moderna tecnica di siffatto genere di costruzioni, ha condotto lo sbarramento ad un punto tale della sua erezione da permettere di prevederne con sicurezza la ultimazione entro il prossimo 1929.

La diga, che dovrà sopportare la spinta di 55 metri d’altezza d’acqua, si eleva complessivamente sulle rocce di fondazione per ml. 59,20. Con l’altezza di ritenuta di 55 ml. è possibile trattenere nella valle sbarrata circa quattro milioni di metri cubi di acqua con il che si possono erogare continuamente per ogni minuto secondo litri 265 di acqua da distribuirsi in città facendo fronte, senza dover diminuire tale erogazione, al più lungo prevedibile periodo di siccità assoluta.

A tali previsioni si è giunti mediante la raccolta accurata di osservazioni pluviometriche e di portata del torrente che ebbero inizio nel 1906 e proseguite ininterrotte fino ad oggi. Gli studi di valenti specialisti in materia di cose idrauliche e le deduzioni fatte sulla base di quelle osservazioni forniscono ogni migliore garanzia nei riguardi della capacità del bacino del Noci a consegnare ogni minuto secondo i 265 litri preventivati.

La diga del tipo “a gravità”, resistente cioè in virtù del proprio peso, ha profilo verticale triangolare raccordato in alto con un arco di cerchio ad un dado di coronamento che costituisce il ciglio e sul quale saranno sistemate le manovre delle opere di presa e degli scaricatori profondi e superficiali occorrenti per la sicurezza e per l’esercizio del bacino.

La pianta della diga è curvilinea con un raggio di curvatura di ml. 250. L’opera muraria ultimata avrà un volume di circa 130.000 metri cubi. È costruita in calcestruzzo di cemento di Casale e blocchi di pietrame annegati nel calcestruzzo. Misura alla base a contatto della roccia di fondazione una larghezza massima di metri 44 ed alla risega di base è larga ml. 40,42. Il ciglio, della larghezza di ml. 4, verrà a trovarsi alla quota 540,50 sul livello del mare mentre il livello massimo al quale potranno giungere le acque del lago avrà la quota 537,50.

Particolare cura hanno richiesto e richiedono gli scavi di fondazione e per le imposte laterali i quali vengono spinti nei fianchi delle falde di sponda fino a che non si incontrano i banchi di roccia perfettamente sani ed in posto. Questo lavoro di approntamento della fondazione che richiede attenzioni particolari rappresenta forse la parte più delicata dell’opera. Trivellazioni delle roccie di fondo nella parte centrale della valle furono eseguite con l’impiego di macchine speciali e furono gradualmente prelevati i campioni delle roccie sottostanti fino ad una profondità di metri 22, sotto il piano della più bassa fondazione. L’esito di tali esplorazioni è stato sotto ogni aspetto soddisfacente.

Un impianto di distribuzione del calcestruzzo a gravità mediante una torre distributrice di 80 metri di altezza permette di colare il calcestruzzo allo stato elastico su tutta l’ampiezza della diga.

Impianti speciali provvedono alla frantumazione della pietra per l’approntamento del pietrisco ed alla macinazione per la preparazione delle sabbie. Gli agglomeranti provenienti da Casale giungono a mezzo ferrovia a Busalla da dove vengono trasportati con autocarri fino in cantiere essendo questo raccordato, mediante un chilometro di strada ruotabile appositamente costruita, alla provinciale Doria-Creto-Montoggio per Busalla.

Il lavoro di getto del calcestruzzo è possibile solamente nei mesi da aprile a novembre e deve rimanere sospeso nel periodo invernale per il pericolo di congelamento dei calcestruzzi scendendo la temperatura costantemente sotto lo zero durante la notte sino a raggiungere a volte -12 gradi centigradi.

Sono impiegati nei lavori giornalmente circa 300 operai ed ogni giorno si gettano in media 300 metri cubi di sbarramento: vale a dire, giornalmente, si rimuovono, si manipolano e si collocano in opera circa 700 tonnellate di materiali. A tutt’oggi si sono scavati circa 85.000 metri cubi di terre e rocce ed i 100.000 mc. di sbarramento eseguito, raggiungendo i 45 metri d’altezza sulla fondazione, hanno implicato il consumo di 230.000 quintali di cemento, di 45.000 mc. di sabbia, di 80.000 mc. di pietrisco e si sono collocate in opera 48.000 tonnellate di blocchi di pietra.

Queste cifre – meglio di ogni descrizione – potranno rendere l’idea del lavoro titanico che si va compiendo e della grandiosità e poderosità degli impianti che si è reso conveniente installare.

L’ufficio tecnico municipale dei Lavori Pubblici ha distaccato in Valle Noci una Direzione locale che direttamente provvede agli studi ed alla direzione tecnica e sorveglianza dell’opera, affidata per l’esecuzione alla Impresa Ingg. Marasi e Gallo.

Meccanismi particolarmente studiati provvederanno a smaltire durante le piene le acque superflue ed eccedenti, in modo tale da garantire la sicurezza dell’opera.

Infatti lo scaricatore di superficie e la valvola di fondo permetteranno di scaricare automaticamente od a comando almeno 160 metri cubi di acqua al minuto secondo mentre è prevedibile, dato il bacino imbrifero a monte dello sbarramento di chilometri quadrati 7,5, potersi avere defluenti piene massime di 150 mc. al secondo.

L’opera di presa appositamente studiata sarà capace di erogare almeno 800 litri al secondo prevedendo in ciò il completamento dell’acquedotto Noci colle acque del Trebbia. Le bocche di emungimento permetteranno di erogare sempre acqua profonda e quindi più pura. Le più basse saracinesche di presa hanno il centro di figura posto alla quota 503 sul mare.

Un’apposita tubazione di ghisa della lunghezza di metri 80 e del diametro interno di m. 0,800 condurrà le acque dalla diga alla galleria-canale Monte Sanguineto che dopo 1000 metri di percorso sbocca in sponda destra della valle del Laitona o rivo di Creto di fronte all’abitato di Acquafredda (frazione del comune di Montoggio). Sopra il letto del Laitona, previa arginatura e copertura verrà sistemato l’edifizio di filtrazione delle acque.

La sistemazione dei filtri in questa località è stata recentemente voluta con illuminata previdenza dal Podestà di Genova On. Broccardi perché fosse possibile immettere nella galleria-canale M. Alpe immediatamente dopo la filtrazione acque pure e pronte per essere distribuite allo sbocco nel vallone di Molassana sul territorio entrato a far parte della Grande Genova. Le acque del Noci attraverso la galleria M. Alpe vengono condotte dal versante adriatico (Scrivia-Po) al versante tirrenico nella valle del Bisagno.

Le due gallerie di 1000 e 1700 metri rispettivamente sono terminate e quasi pronte ad entrare in esercizio. Quanto prima verrà posto mano alla costruzione dell’edifizio per la filtrazione mentre già si sta ponendo in opera sulla apposita sede stradale costruita la tubazione di adduzione. Questa ha uno sviluppo di chilometri 10,5 e viene adagiata lungo le pendici del versante di Val Bisagno del M. Mezzano, del Butegna, del Crovo, del Corvo raggiungendo il valico obbligatorio della Torrazza a quota 360,80. Da qui la tubazione, risalendo di quota, si sposta per breve tratto sul versante del Polcevera per ritornare su quello del Bisagno lungo le falde del M. Bastia, del Diamante, dei Due Fratelli, del Puin fino al forte dello Sperone alla quota 430 circa sul livello del mare.

I tubi di ghisa formanti la tubulatura principale hanno il diametro interno di ml. 0,500 e seguono fin come e dove possibile l’andamento delle falde montuose.

Occorre trasportare e porre in opera circa 2000 tonnellate di materiali che per la loro fragilità e la loro mole rendono quanto mai delicato e malagevole il lavoro.

Serbatoi di regolazione, una piccola centrale elettrica che sfrutterà il salto compreso tra la tubulatura a servizio della parte alta della città e quella a servizio della parte bassa e tutte le tubulature di distribuzione completeranno l’opera.

Queste a grandi linee le caratteristiche del nuovo acquedotto di Valle Noci che tra non molto potrà entrare in funzione.

Come già si è detto, in un secondo tempo l’opera verrà integrata mediante l’allacciamento alle valli dell’alta Trebbia.

 La costituzione del Consorzio Aveto-Trebbia tra i Comuni e le Provincie di Genova e Piacenza ha permesso di regolare tutte le questioni inerenti al trasporto delle acque da un versante all’altro.

Così l’Acquedotto di Valle Noci raggiungerà la sua massima importanza – veramente notevole – quando sarà integrato colla derivazione di Val Trebbia (da sorgenti dell’alta valle del Brugneto sotto l’Antola e da serbatoio artificiale) con una portata di litri 500 al minuto secondo e colla possibilità di aumentarla, qualora occorresse. Le gallerie-canale dell’Acquedotto di Valle Noci sono già disposte a doppio canale per convogliare distintamente, occorrendolo, le acque del versante Scrivia e del Trebbia. La portata complessiva dell’Acquedotto potrà così raggiungere gli 800 litri al secondo.

Il percorso occorrente per la conduttura dal Brugneto al Noci consterà di cinque gallerie-canale della lunghezza complessiva di Km. 9,500 e di Km. 2,500 di tubulatura all’aperto: un totale quindi di 12 chilometri.

L’Acquedotto di Valle Noci, studiato e costruito con tutti gli accorgimenti e gli insegnamenti della tecnica moderna, ha per la sua mole e la sua importanza l’impronta della romanità ed è e sarà opera ben degna della Grande Genova.

Valle Noci, 30 settembre 1928.

 

 

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XXV Aprile 2024: Manifestazione a Genova

Si sono svolte in tutte le città e paesi d’Italia manifestazioni per la ricorrenza del XXV Aprile, festa della Liberazione.

A Genova una grande manifestazione di giovani e meno giovani ha percorso via XX Settembre ove sotto il ponte Monumentale è stato letto l’atto di resa delle truppe tedesche ai partigiani del CLN.

In Piazza De Ferrari si sono avuti interventi di alcuni rappresentanti delle istituzioni, compreso il sindaco Bucci, che ne avrebbe fatto volentieri a meno.


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Sopraelevata Aldo Moro: che fare ?

E’ iniziato con largo anticipo il dibattito sull’utilità della sopraelevata Aldo Moro di Genova quando sarà stato costruito il tunnel sub-portuale. Non commento il progetto del tunnel in quanto non ho competenze in merito, ma l’ipotesi di una demolizione di parte o di tutta la sopraelevata mi sembra degna di discussione.

La strada sopraelevata Aldo Moro si estende per 4.5 km, circa 6 km considerando gli accessi, seguendo l’andamento delle strade sottostanti, a loro volta insieme al porto, seguenti la linea di costa.

Fu costruita nei primi 5 anni del ’60 con un uso massivo dell’acciaio, con 201 piloni a sorreggere le due carreggiate, ciascuna a doppia corsia.

la sopraelevata sicuramente ha costituito una cesura tra la città ed il porto, più che altro dal punto di vista visivo e per i palazzi che si trovano a breve distanza, specie nel tratto contiguo a Via Gramsci.

Come ho detto si è trattato di una cesura visiva, in quanto prima della costruzione il porto era già separato con inferriate dalla città. Di questo ne ho memoria diretta. Chi doveva accedere per qualche motivo doveva passare per dei varchi controllati dalla Guardia di Finanza in quanto era frequente il contrabbando.

Ora, con il progetto del tunnel sub-portuale, molti hanno proposto di demolire tutta la sopraelevata, oppure di limitare l’abbattimento alle zone dove l’inquinamento visivo è maggiore, ad esempio la zona di Mura delle Grazie, di Via Turati, di Caricamento, di Via Gramsci.

Questo ricongiungimento città-porto-mare avrebbe un senso ma è da osservare che il mare è quello portuale, non certo quello fruibile per la balneazione. Ed il porto antico è dall’ Expo del 1992 in parte fruibile.

I favorevoli al mantenimento della sopraelevata sostengono che ormai essa è integrata nel panorama della città e i costi di demolizione e riassetto urbanistico sarebbero elevatissimi. Mantenendola insieme al tunnel si avrebbe un doppio percorso che dalla Foce arriva a Sampierdarena, lasciando alle strade storiche il solo traffico locale.

Da qualcuno è anche nata l’idea di lasciare la sopraelevata ma utilizzarla come un percorso verde pedonale e in parte ciclabile, con la possibilità di apprezzare sia le palazzate, sia il porto antico, sia la stazione marittima, ed il porto commerciale, fino alla Lanterna, simbolo della città. Questo potrebbe essere un’idea vincente, ma temo che non sia nelle corde di chi vuole ad ogni costo che ci sia un rientro economico.

Nel video ho registrato l’intero percorso Foce-Sampierdarena per vedere i tempi di percorrenza: a velocità consentita ci ho messo 7 minuti e 20 secondi. Va bene che non era un’ora di grande traffico, ma a me non è mai capitato di vedere code, se non raramente per incidenti.

Quindi concludendo: vale la pena di demolire la sopraelevata Aldo Moro e costruire un tunnel costoso e che molti cittadini non percorreranno per paura di restare intrappolati in caso di incidente ?

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25 aprile

79° Anniversario della Liberazione

Oggi, 25 aprile 2024, cade il 79° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazi-fascismo.

La data ricorda il giorno della Liberazione di Milano, ma giova ricordarne una altrettanto importante: il 23 aprile, quando le forze Partigiane liberarono Genova. Fu la prima città in Europa liberata dai combattenti non inquadrati negli eserciti alleati ma nel Corpo Volontari della Libertà.

Ai Partigiani, agli Eroi che hanno dato la vita cadendo in combattimento, a quelli che nel tempo sono stati la memoria storica della Liberazione e ai pochi ancora in vita , deve andare il pensiero riconoscente della Nazione. Riconoscenza che si deve esplicare proprio nel mantenere vivo, da parte di chi è venuto dopo e di chi verrà, il ricordo di ciò che fu il più grande movimento popolare dell’Italia moderna: la Resistenza.

A coloro che, invece, si schierarono con l’invasore nazista aderendo alla Repubblica sociale, vada il perenne ludibrio nessuna pietà. Lo stesso a coloro che oggi vorrebbero far tornare indietro l’orologio della storia ad un periodo in cui la Libertà fu cancellata dalle peggiori dittature.

Purtroppo ogni giorno che passa si osserva una deriva neo o post-fascista da parte del governo o delle amministrazioni locali. Come ha scritto Antonio Scurati costoro cercano di riscrivere la storia, attribuendo le responsabilità ai nazisti e dimenticandosi la connivenza e collaborazione data dai fascisti repubblichini.

ORA E SEMPRE RESISTENZA

 

 

Partigiani
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80 anni dalla strage della Benedicta

Sono trascorsi 80 anni dalla strage della Benedicta, una delle più efferate avvenute intorno a Genova.

Tra il 6 aprile e l’11 aprile 1944 75 partigiani appartenenti alle Brigate Garibaldi, furono massacrati da militari della Guardia Nazionale Repubblicana con l’aiuto di reparti nazisti.

La strage avvenne in località Benedicta nei pressi dell’abitato di Capanne di Marcarolo, nel comune di Bosio, sull’Appennino ligure, poco lontano dal confine con la provincia di Genova.

Allo scopo di far venir meno il sostegno dato dagli abitanti del luogo e dei paesi vicini ai gruppi antifascisti, i comandi repubblichini, di concerto con le truppe naziste, organizzarono rastrellamenti che portarono a scontri armati con la Brigata Autonoma Alessandria e la III Brigata Garibaldi della Liguria.

Queste forze Partigiane, per lo più costituite da giovani male armati, furono soverchiate dai nazifascisti contando ben 147 morti, dei quali 75 catturati furono fucilati dai Granatieri repubblichini il 7 apile 1944.

I Partigiani catturati furono in parte avviati ai ai lager tedeschi; altri 17 partigiani furono fucilati il 19 maggio vicino al passo del Turchino, insieme ad altri 42 prigionieri, come rappresaglia per l’ attentato contro un gruppo di soldati tedeschi che si trovavano al cinema Odeon di Genova.

A 80 anni da questo evento, di cui è accertata la responsabilità di fascisti italiani, stiamo assistendo a rigurgiti di quella ideologia, con tentativi di riscrivere la storia diminuendo le responsabilità di italiani al soldo dei nazisti, come avviene anche in altre stragi, partendo da quella delle Fosse Ardeatine.

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