Il 25 settembre 1896 nasceva a Stella San Giovanni Sandro Pertini, una delle più luminose figure del ‘900: combattente nella I guerra mondiale, antifascista, autorevole membro della Resistenza, Presidente della Camera dei Deputati e Presidente della Repubblica.
Un uomo che definire un gigante è riduttivo, soprattutto se paragonato ai politici attuali.
Rimane viva in me la campagna per le elezioni politiche del 1972 e l’onore di averlo potuto conoscere.
Sicuramente attuale questa sua frase:
“Il fascismo per me non può essere considerato una fede politica. Sembra assurdo quello che dico, ma è così: il fascismo a mio avviso è l’antitesi delle fedi politiche, il fascismo è in contrasto con le vere fedi politiche. Non si può parlare di fede politica parlando del fascismo, perché il fascismo opprimeva tutti coloro che non la pensavano come lui.”
Quindi con i fascisti, e con chi ne condivida in parte o in tutto l’ideologia, non deve esistere alcun dialogo; essi non possono essere minimamente considerati parte di uno stato democratico, ma solo nemici da combattere senza esclusione di colpi per eliminarli definitivamente dalla faccia della Terra.
Nella primavera del 1960 si consumò una delle tante crisi governative della Prima repubblica. Il Governo presieduto da Antonio Segni per contrasti interni entrò in crisi. La principale motivazione il tentativo della Sinistra DC di operare una cauta apertura al Partito Socialista per la formazione di un gabinetto di centro-sinistra.
Il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, fallito un altro tentativo di Segni, diede l’incarico ad un altro esponente della Sinistra DC, Fernando Tambroni, già ministro economico. Tambroni riuscì solo a formare un governo monocolore con lo scopo di sistemare i conti dello Stato. Presentatosi alle Camere il Governo Tambroni ottenne una risicata maggioranza avvalendosi dei voti del MSI, il partito neofascista.
A seguito di proteste per aver accettato i voti neofascisti, tre ministri lasciarono l’esecutivo e Tambroni fu costretto a rassegnare le dimissioni. Dimissioni che, però, non vennero accettate dal Presidente Gronchi che rinviò Tambroni alle camere. In Senato ottenne la fiducia con minimo scarto e l’appoggio esterno determinante del MSI.
In questo contesto politico, fortemente polarizzato, si inserisce la convocazione del congresso del MSI a Genova per la fine di Giugno 1960.
Tale convocazione fu subito fortemente criticata in quanto Genova la città che per prima si era liberata per azione dei propri Partigiani e per questo insignita della medaglia d’oro al valor militare.
Oltre a ciò il congresso avrebbe dovuto svolgersi al Teatro Margherita di via XX Settembre, a 10 metri dal Ponte Monumentale, sotto il quale è il sacrario dei caduti Partigiani e ove è posta una lapide con l’atto di resa delle forze naziste.
Verso i primi giorni di giugno nell’edizione locale dell’Unità fu pubblicato un appello affinché l’oltraggio alla città Medaglia d’oro fosse evitato, non consentendo lo svolgimento del congresso. Esponenti dei partiti comunista, socialista, socialdemocratico, repubblicano e radicale si riunirono ed insieme alla Camera del Lavoro chiesero ufficialmente al Prefetto l’annullamento del congresso neofascista.
Il 15 giugno una manifestazione di lavoratori vide l’attacco provocatorio di alcuni missini, presto respinti, ma anche di un plotone di carabinieri che colpirono selettivamente gli antifascisti.
La settimana successiva, il 25, fu indetta una manifestazione da parte della FGCI, della FGSIe delle organizzazioni giovanili di PSD e PRI e con la partecipazione di numerosi portuali della CULMV e della Pietro Chiesa. In via XX Settembre, nei pressi del Ponte Monumentale, il corteo fu oggetto di una carica della polizia, carica prontamente respinta, con diversi agenti feriti.
In quei giorni si ebbe la notizia che al congresso del MSI avrebbe partecipato Carlo Emanuele Basile, famigerato prefetto di Genova durante la Repubblica sociale. Questo personaggio fu responsabile di arresti di partigiani e di deportazioni di civili, fatti per i quali fu condannato a morte e successivamente assolto per insufficienza di prove e, per alcuni reati, amnistiato. Basile era divenuto un dirigente di spicco del MSI.
Questo fatto inasprì ulteriormente gli animi degli antifascisti genovesi che convocarono per il 28 giugno una memorabile manifestazione, conclusasi in Piazza della Vittoria con l’intervento di Sandro Pertini, allora direttore de Il Lavoro e parlamentare socialista, oltre che medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza.
Questa frase di Pertini talmente infuocò gli animi tanto che fu soprannominato “brichetto”, in genovese “fiammifero”:
“La polizia sta cercando i sobillatori di queste manifestazioni, non abbiamo nessuna difficoltà ad indicarglieli: sono i fucilati del Turchino, di Cravasco, della Benedicta, i torturati della casa dello studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori.”
La Camera del Lavoro convocò, quindi, una manifestazione di protesta per il giorno 30 giugno. Questa manifestazione, partendo da Piazza della Nunziata, si portò tranquillamente attraverso il centro fino a Piazza della Vittoria. Al termine del comizio del Segretario della Camera del Lavoro Bruno Pigna, un gruppo di antifascisti, per lo più portuali della CULMV risalì la via XX Settembre e si soffermò davanti al teatro Margherita, fortemente presidiato dalla celere, e poi a Piazza De Ferrari. Qui si trovavano intorno alla fontana diversi agenti e funzionari della celere di Padova, famosa per essere costituita da molti ex poliziotti della RSI o, comunque, collusi con il regime fascista e perciò utilizzata nell’ambito di scioperi e manifestazioni di lavoratori.
Dai lavoratori si levarono urla di protesta ed insulti, e la celere reagì con caroselli delle camionette e manganellate ai manifestanti. Questi, come detto in prevalenza portuali, per cui molti di loro avevano con sé il famoso gancio, principale strumento di lavoro che, volendo, poteva rivelarsi un’arma micidiale riuscirono a impadronirsi di tubi, bastoni ed altro materiale da un cantiere adiacente il teatro Carlo Felice, con i quali risposero fieramente ai celerini.
Di questi fatti ho personalmente un ricordo. Infatti, bambino di 6 anni e mezzo, stavo tornando a casa insieme a mia nonna e questa, alla vista della battaglia che si stava svolgendo, mi portò dietro una delle colonne di portici dell’Accademia da cui potei sbirciare quanto stava succedendo. Di quanto accadde ricordo il fumo, le urla, le frenate delle camionette, un portuale con la maglietta a strisce ed il gancio alla cintura e la testa insanguinata, un paio di celerini gettati nella fontana, altri portuali che portavano via un giovane celerino svenuto, per metterlo in salvo e proteggendolo dall’ira di altri gridando, in genovese “Lascielou stà, u lè in figgeu”.
Nei giorni successivi in altre parti d’Italia si ebbero manifestazioni antifasciste e scontri, e questi ebbero il giusto risultato di far annullare il congresso neofascista.
Un paio di giorni dopo una grande manifestazione, a cui parteciparono esponenti antifascisti di spicco, sancì la vittoria della Genova antifascista.
Sono passati 60 anni da quelle giornate memorabili, il neofascismo in questi anni ha rialzato il capo, magari sotto mentite spoglie, come quelle leghiste-sovraniste, oppure più palesemente come “fascisti del terzo millennio”, e in tutte le sue forme deve essere combattuto, con ogni mezzo, dalla democrazia.
Come scrisse Sandro Pertini:
“Io non sono credente, ma rispetto la fede dei credenti; io sono socialista, ma rispetto la fede politica degli altri e la discuto, polemizzo con loro, ma loro sono padroni di esprimere liberamente il pensiero. Il fascismo no, il fascismo lo combatto con altro animo: il fascismo non può essere considerato una fede politica; il fascismo è l’antitesi delle fedi politiche, il fascismo è in contrasto con le vere fedi politiche perché il fascismo opprimeva chi non la pensava come lui”.
Di solito uno pensa al 25 dicembre come il giorno della nascita di Gesù Cristo. Eppure quel giorno fu importante in quanto il 25 dicembre 1896 nacque a Roma l’Avanti! il giornale quotidiano dei Socialisti. Non fu certo il primo giornale Socialista, già erano stampati “Critica sociale” di Filippo Turati ed Anna Kulishof ed altri giornali locali, ma i tempi, particolarmente complessi per le crescenti agitazioni sociali, imponevano al partito che si rivolgeva particolarmente alle classi lavoratrici, di disporre di un giornale a cadenza quotidiana.
La storia dell’Avanti! è strettamente collegata a quella tormentata del XX secolo, partendo dalla diatriba tra interventisti di sinistra e neutralisti nel I conflitto mondiale, al fatto di avere come direttore Mussolini, allora socialista, agli assalti squadristici del 1919, alla scissione del Partito comunista del 1921 al XVII congresso del Partito socialista, alla chiusura del giornale nel 1926 per le “leggi fascistissime”, alla clandestinità fino al 1945, al contributo per il referendum istituzionale, proseguendo per tutto il cammino della storia repubblicana. fino agli anni ’90 quando, a seguito anche del crollo del sistema di potere craxiano, il giornale non fu più stampato.
Personalmente ho acquistato quotidianamente l’Avanti almeno dai primi anni ’70 fino al XLIII congresso del PSI del 1984 quando con l’elezione di Bettino Craxi a segretario nazionale, capii che le ragioni ideali che mi avevano portato all’iscrizione prima alla Federazione Giovanile Socialista (FGSI), diventando anche segretario regionale e membro del Comitato centrale, e poi al PSI erano venute meno.
Per ricordare l’Avanti! pubblico una foto del numero del 9 luglio 1978, in occasione dell’elezione di Sandro Pertini a Presidente della Repubblica, copia che custodisco gelosamente.
Nella seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso, agli inizi della mia carriera di docente, ebbi l’occasione di conoscere e di frequentare per un paio d’anni un anziano collega. Il suo nome era Carlo, ci accomunava, oltre il lavorare nel medesimo corso, pur in materie diverse, il fatto di essere entrambi iscritti al Partito Socialista Italiano.
Ovviamente le nostre storie erano diverse: io proveniente dall’esperienza del ’68 e degli anni successivi, lui da quella ben più difficile di confinato durante gli anni ’30, a causa delle sue idee, e poi Partigiano nelle Brigate Matteotti.
Nelle “ore buche” o in attesa di consigli di classe e scrutini, avemmo l’occasione di parlare. Lui era molto interessato al momento politico che si stava vivendo, in particolare all’interno del PSI: l’avvento di Craxi, all’elezione di Pertini a Presidente della Repubblica, il governo di centro-sinistra, le lotte operaie. Io, oltre a ciò, a conoscere il suo passato: la vita al confino, se ben ricordo per 2 anni in un paesino dell’Appennino, la sua esperienza nelle file della Resistenza.
Ma non è di questo che intendo parlare, ma di alcune considerazioni da lui fatte e che mi tornano in mente in questo complicato periodo della storia del nostro Paese.
Carlo, mi disse una volta, con voce ferma quanto seria: “Sai quale è stato il nostro più grande errore dopo il 25 Aprile ? Quello di esser e stati troppo buoni, di aver pensato che dopo la guerra bisognava per forza pacificare il Paese, lasciando nel dimenticatoio molte delle responsabilità che hanno avuto i nostri nemici. A differenza del nazismo, per il fascismo non c’è stata una Norimberga, solo pochi sono stati giudicati, ancor meno quelli che hanno pagato con la vita le loro efferatezze, le loro responsabilità. Poi c’è stata anche l’amnistia di Togliatti, e tutto è finito lì.
D’accordo, c’era da ricostruire l’Italia, c’erano forti condizionamenti da parte degli Stati Uniti che paventavano l’avvicinamento dell’Italia all’URSS, forse anche un desiderio di dimenticare in fretta, ma è stato un errore gravissimo, perché i fascisti rimasero tali, o appena trasformati esteriormente, come il MSI. Le leggi contro la ricostruzione del partito fascista c’erano, Costituzione e Legge Scelba, ma applicate non completamente. E quelli, liberi, hanno avuto figli che spesso hanno educato a quella criminale ideologia.Ed i loro nipoti, ugualmente.
Vedrai, prima o poi ritorneranno, magari non più con la camicia nera, ma sempre con le stesse idee liberticide e antidemocratiche, contro le quali abbiamo combattuto e molti nostri compagni sono morti.
Il fascismo è stato un cancro, bisognava estirparlo alla radice, non lasciando viva alcuna delle sue cellule, affinché non nascessero metastasi.”
A distanza di 40 anni e più mi vengono in mente queste parole. Carlo aveva ragione: le cellule metastatiche si sono riprodotte, alcune in modo più evidente, utilizzando la simbologia e le parole del fascismo del ventennio, altre in modo più subdolo, sotto le spoglie del sovranismo, del razzismo e del suprematismo.
E contro di queste bisogna essere pronti a difendere la democrazia, la libertà, i diritti umani, esattamente come fecero nel 1943 gli uomini e le donne che diedero vita alla Resistenza.
Non bisogna aver paura di dirlo: come scrisse il Partigiano Sandro Pertini “Con i fascisti non si discute, con ogni mezzo li si combatte”.
In occasione del 25 Aprile, festa di Liberazione, credo sia doveroso pubblicare un link alla raccolta dei discorsi che fece Sandro Pertini, comandante partigiano e medaglia d’oro della Resistenza, durante il suo mandato di Presidente della Repubblica, dal 1978 al 1985.