Nella mia carriera ultra-quarantennale a scuola ho sempre creduto che fosse necessario adeguarsi ad un “Dress Code“. Ovviamente non una imposizione a vestire una specie di uniforme, come nei college anglosassoni, ma solo un limite di decenza e di buon gusto entro il quale ciascuno, docente o studente, possa collocarsi.
Personalmente, specie negli ultimo 15/20 anni di lavoro, ho quasi sempre indossato una giacca, camicia e cravatta, raramente un maglione o una t-shirt nei periodi caldi. Non tanto per una scelta di presunta eleganza, ma anche per comodità in quanto la giacca ha tasche entro le quali mettere oggetti, fazzoletto, chiavi, etc.
Ciò non dimeno ho sempre ritenuto che l’istituzione scolastica dovesse essere considerata non alla stregua di una discoteca, piuttosto che di uno stabilimento balneare, per cui non ho mai apprezzato chi, nei giorni finali dell’anno scolastico, si presentava a scuola se maschio con pantaloncini, bermuda e infradito, se femmina con magliette che ricordavano una brassiere lasciando pancia scoperta.
Nella dozzina di volte in cui ho esercitato la funzione di presidente di commissione per l’esame di Stato, ho raccomandato ai membri interni di chiedere ai candidati di presentarsi alle prove con un abbigliamento consono in quanto in quel momento sia io che il resto della commissione rappresentavamo lo Stato. E devo dire che tale raccomandazione è stata al 99% recepita.
Faccio questa lunga e noiosa premessa in quanto è di questi giorni la notizia che il Collaboratore (o collaboratrice) del Dirigente scolastico del Liceo Classico Socrate di Roma ha raccomandato alle alunne di non indossare la minigonna, in quanto, in assenza dei banchi monoposto non ancora consegnati, le gambe delle alunne avrebbero potuto essere oggetto di sguardi inopportuni da parte dei docenti, si pensa maschi.
Ovvia e condivisibile la simpatica protesta delle alunne che si sono presentate a scuola in minigonna o con pantaloncini, dichiarando la loro libertà di abbigliarsi a loro piacimento.
Sull’uso di minigonne, pantaloni stracciati, pantaloncini, brassiere, vale il discorso in premessa: a mio avviso bisognerebbe predisporre un “Dress Code” che tenga conto della libertà di abbigliamento, però nei limiti di decenza e buon gusto.
Ma la cosa che trovo deprecabile è l’affermazione del Collaboratore/Collaboratrice del DS per cui i docenti maschi potrebbero essere distolti al proprio lavoro cadendo il loro occhio sulle gambe delle studentesse. Affermazione grave per la quale spero che il DS, il Collegio dei docenti intervengano e che chi ha fatto questo invito sia rimosso immediatamente dal suo incarico.
Certo nella mia esperienza scolastica mi è anche capitato di commentare con qualche collega maschio la particolare avvenenza di una collega, magari anche di qualche studentessa degli ultimi anni, ma non mi è mai capitato di vedere o avere notizia di qualche docente che in cattedra si sia permesso di sbirciare o “far cadere l’occhio” sulle gambe più o meno esposte di alunne.
Alle alunne del Socrate vorrei dire che la loro libertà di abbigliamento non deve essere messa in discussione, così come deve essere combattuta con forza la teoria per cui lo stalking o, peggio, di violenze verbali o fisiche ad una donna siano in qualche modo correlate e causate dal suo apparire.
Ma anche che questa libertà non può non tener conto del luogo e delle circostanze e, soprattutto, del buon gusto.