Folla in via XX Settembre

E’ finito il temporale (o forse no)

Quando, specie d’estate, finisce un temporale ecco che ritorna a far breccia tra le nubi il sole. La natura sembra rimettersi in moto, gli umani guardano dalla finestra: il pericolo di bagnarsi è scampato, possiamo uscire di nuovo.

Parlando di un temporale ben più pericoloso, non costituito da gocce d’acqua ma di virus, la storia si ripete. La Liguria da oggi passa dalla zona arancione, quella di media pericolosità di propagazione dell’epidemia e di saturazione ospedaliera, a quella gialla, un po’ più lieve, ma sempre pericolosa.

Ed ecco che la gente, come documenta il quotidiano La Repubblica, si precipita nelle vie dello shopping, accalcandosi, sì con la mascherina (a volte messa male), pensando che la stessa sia una specie di viatico per non infettarsi, scontrandosi, sfiorandosi, come se non vi fosse più alcun pericolo.

Un’altra notizia, sempre nello stesso quotidiano online, ci fa sapere che oggi i ristoranti sono quasi tutti prenotati, lo stesso i bar per aperitivi e apericene, pur anticipati.

L’ineffabile Presidente della Regione Liguria Toti proclama non di fare attenzione, ma che tutto sta andando bene, che l’economia deve rimettersi in moto, che il denaro deve riprendere a girare.

Sembrerebbe che davvero il temporale sia finito. Ma un segnale ancora lascia perplessi: la scuola resta fisicamente chiusa, tranne le primarie, per le altre classi si prosegue con la didattica a distanza. Di riapertura completa se ne perlerà dopo le feste. Forse.

E che diamine: non vorrete mica che gli studenti ed i docenti in movimento, recandosi o tornando da scuola, affollino gli autobus creando disagio a coloro che vanno in centro a fare shopping? Non sia mai… l’istruzione viene dopo l’economia.

(foto da repubblica.it)

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Kostas Georgakis

50 anni dal sacrificio di Kostas Georgakis

La notte del 19 settembre 1970 in piazza Matteotti a Genova, verso le ore 3 alcuni netturbini videro un lampo e delle fiamme levarsi dalla scalinata del Palazzo Ducale. Si avvicinarono e videro la sagoma di un uomo bruciare e delle grida che dicevano: “Viva la Grecia libera”, “Morte ai tiranni”, “L’ho fatto per la mia Grecia”. Il giovane fu soccorso e portato in ospedale, ma le gravi ustioni lo condussero velocemente alla morte.

Kostas Georgakis era uno studente ventiduenne di Corfù, iscritto e frequentante la facoltà di Geologia dell’Università di Genova. Come è noto in quel momento in Grecia al potere, a seguito di un colpo di stato, vi erano i “Colonnelli”, che avevano instaurato una sanguinaria dittatura. Kostas, come molti altri studenti greci a Genova era oppositore della dittatura, iscritto anche all’Unione di Centro.

Il clima in quei giorni non era certo sicuro per questi studenti in quanto al consolato greco di Genova erano stati inviati dal regime agenti speciali col compito di raccogliere informazioni sulle attività degli oppositori.

Molti di questi erano spesso ospiti per le loro riunioni di sezioni del Partito Comunista Italiano e del Partito Socialista Italiano.

Alloar ero iscritto alla Federazione Giovanile Socialista (FGSI) ed ebbi modo di conoscere uno degli esponenti di spicco degli studenti greci, Iannis Zisssimos. Spesso lo accompagnavo con la moto a riunioni e in una di quelle ebbi modo di conoscere Kostas. Ricordo perfettamente che l’impressione che ebbi fu quella di trovarmi di fronte ad un giovane molto preoccupato per la situazione e nel suo viso era evidente una patina di tristezza.

Infatti si venne a sapere che Kostas temeva per la sua famiglia, la quale aveva già subito delle minacce da parte della polizia dei colonnelli, tanto che fu loro vietato di inviare al giovane soldi per il suo mantenimento.

E’ chiaro che il sacrificio di Kostas fu dettato sia dalla paura che la sua famiglia potesse subire guai peggiori, oltre a quello di far sapere al mondo che vi era chi combatteva anche da lontano la dittatura.

Ricordo benissimo il funerale, la manifestazione che seguì, e le lacrime dei suoi compagni di studio. Ricordo ancora ora cosa mi disse Iannis Zissimos: “Non abbiamo capito quanto soffrisse e quanto fosse il suo amore per la Patria”

Kostas lasciò ad un amico una lettera in cui scrisse” Sono sicuro che presto o tardi i popoli europei capiranno che un regime fascista come quello greco basato sui carri armati non rappresenta solo un’offesa alla loro dignità di uomini liberi ma anche una continua minaccia per l’Europa…. Non voglio che questa mia azione venga considerata eroica poichè è niente altro che una situazione di mancata scelta. D’altra parte risveglierà forse alcune persone alle quali farà vedere in che tempi viviamo.

In Piazza Matteotti c’è una lapide in ricordo del sacrificio di Kostas Georgakis, purtroppo scolorita dal tempo e sarebbe il caso che il Comune di Genova si facesse carico del restauro.

Kostas Georgakis

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Alunni in ginocchio

Sull’edizione ligure online di La Repubblica, spicca oggi pomeriggio la notizia che in una scuola primaria del quartiere di Castelletto (guarda un po’: un quartiere storicamente alto-borghese) in mancanza dei banchi che sarebbero dovuti essere consegnati prima dell’inizio delle lezioni, una/o insegnante ha fatto inginocchiare gli alunni sul pavimento, in modo chè potessero scrivere sulle sedie.

Immediata l’accusa del Presidente della Regione Liguria Toti, rapidamente da qualcuno edotto sui fatti, al Governo di non aver rispettato i tempi di consegna creando un grave danno alle attività scolastiche.

Siamo a 6 giorni dalle elezioni regionali ed è evidente che Toti candidato sollevi questo problema per un mero interesse politico, ma qualche dubbio su come siano andate le cose mi sovviene.

Il primo dubbio è che nella scuola in oggetto, probabilmente il Comprensivo di Castelletto, non siano state predisposte le procedure per lo svolgimento delle attività didattiche e, ovviamente, quelle relative al contrasto alla diffusione del Covid-19. Tali procedure sicuramente non possono contemplare lo stare in ginocchio sul pavimento.

Oppure tali procedure sono state predisposte accuratamente, come spero, ed allora sarebbe interessante sapere per quale motivo l’insegnante in classe ha autorizzato se non invitato gli alunni a disporsi in tal modo.

Ma non è finita. Della situazione è stata fatta una, forse più, fotografie. Da chi ? Dando per scontato che non sia stata la docente, che nessun genitore abbia potuto accedere all’aula, non resta che pensare ad un alunno.

Però gli alunni sembrano di età tra i 7 e i 9 anni, quindi mi è difficile pensare che sia stata un’idea di un ragazzino o di una ragazzina. Piuttosto mi verrebbe da pensare che la scena sia stata un po’ costruita, tanto è vero che i genitori degli alunni in poche ore si sono mobilitati in qualche social per diffondere la notizia.

Vedremo l’evoluzione, vedremo se il Dirigente scolastico dirà qualcosa, se l’alunno/a che abbia scattato la foto sarà sanzionato in base alla normativa vigente che vieta assolutamente le riprese foto e video in classe e, ultima, la docente sia sottoposta a provvedimento disciplinare.

UPDATE: da un quotidiano online genovese arriva la notizia che la foto è stata scattata da una docente che l’ha inviata, immagino attraverso una chat di classe, ai genitori. Lo scopo era quello di mostrare ai genitori lo spirito di adattamento dei loro bambini, di fronte alla mancanza di suppellettili.

Quindi  la docente è stata davvero poco accorta, ignorando le norme che vietano le riprese in classe e non pensando che la foto sarebbe stata divulgata ed avrebbe sollevato, come ha fatto, un vespaio di polemiche contro il Governo. E per questo merita di essere sanzionata.

Oppure, ed io penso sia così, lo ha fatto scientemente con lo scopo di sputtanare il Governo prestando il fianco al candidato Toti a pochi giorni dalle elezioni.

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Fabrizio De Andrè

Buon compleanno Faber

Oggi 18 febbraio 2020 avresti compiuto 80 anni, se un male impietoso non ti avesse portato via 21 anni fa.

A volte mi chiedo cosa avresti potuto ancora scrivere in questi anni, quali poesie e canzoni avresti potuto creare, quali emozioni dare a tutti noi.

Purtroppo è andata così, ma ci restano le tue opere, imperiture e sempre attuali.

Buon compleanno, comunque, Faber. Sei stato il più grande.

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Fabrizio De Andrè

Buon compleanno Faber

Il 18 febbraio 1940 nasceva a Genova, in via De Nicolay a Pegli, Fabrizio De Andrè.

Oggi Fabrizio avrebbe 79 anni e sicuramente, in questi ultimi 20 in cui non è stato più con noi, ci avrebbe regalato altre poesie ed ancora nel futuro.

Ma il destino è spesso crudele, per cui non possiamo che ricordarlo attraverso le sue opere che resteranno immortali.

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Parchi di Nervi

Parchi di Nervi: lo scempio infinito

Sono trascorsi, ormai, quasi 9 mesi dalla fine di Euroflora 2018, l’esposizione florovivaistica che una mente improvvida, se non alterata, ha voluto far svolgere nei parchi storici di Nervi.

Euroflora nacque nel 1966 per iniziativa della Fiera di Genova che, allora, cercava di conquistarsi uno spazio non solo ristretto al Salone nautico. Da allora, fino al 2011 ogni quattro o cinque anni si è svolta all’interno degli spazi fieristici, con ottimi risultati in termini di visite.

D’altra parte la struttura stessa di Euroflora prevedeva l’installazione di piante ornamentali, la riproduzione in piccolo di vari biotopi, ma sempre tenendo conto della temporaneità della cosa.

Ricordo che vi era differenza tra il visitare l’esposizione nei primi giorni piuttosto che in quelli finali ove moltissime piante, specie quelle fiorite, risentivano del tempo. Tanto è vero che molte venivano regalate ai visitatori l’ultimo giorno di apertura.

Conclusa l’esposizione le piante che potevano essere recuperate venivano riportate ai loro vivai, i terreni rimossi, e in pochi giorni la Fiera ritornava come prima.

Lo scorso anno l’ineffabile sindaco di Genova Bucci, per qualche recondito motivo, molto probabilmente per crearsi una visibilità fino ad allora inesistente, decise di far svolgere Euroflora 2018 nei parchi storici di Nervi. La motivazione era quella di attrarre un maggior numero di turisti-visitatori, anche se Nervi non è certo una località per turismo di massa.

Quindi gli espositori sono stati autorizzati a installare i loro “stand” nei prati e nelle aiuole dei parchi. Ciò, ovviamente, ha comportato il passaggio sul terreno di camioncini, piccoli escavatori, il passaggio di cavidotti per l’elettricità, l’aggiunta di terra, pietrisco, argille sui terreni e quanto altro.

Senza nulla togliere alla riuscita in termini di numero di visitatori, che avrà probabilmente avuto un riflesso nell’economia della zona, i problemi sono sorti al termine della floralie in quanto gli espositori hanno ripreso quanto poteva essere riutilizzato, lasciando in loco montagne di terricci, granulati di argilla espansa, pietrisco, etc.

Il sempre ineffabile sindaco promise che nell’arco di due mesi i servizi comunali (ASTER) avrebbe ripristinato i luoghi.

Alla riapertura alla fruizione dei cittadini dei parchi, si vide subito che poco era stato fatto, molte zone erano recintate da gabbie metalliche e solo in piccole zone era stato ripristinato il livello del terreno e posizionato sopra un tappeto erboso.

Alle proteste di chi lamentava un rallentamento dei lavori fu risposto che il ripristino dei prati erbosi non poteva essere fatto completamente nei mesi estivi in quanto avrebbe attecchito male. Si arriva all’autunno, le gabbie spariscono, ma i prati rimangono, a parte alcuni, ancora di un inquietante colore giallo, segno che anche le poche rizollature hanno avuto dei problemi di attecchimento.

Si arriva all’inverno e nei giorni feriali è possibile, e nemmeno sempre, vedere al massimo due operatori al lavoro.

Oggi, 20 gennaio, la situazione è quella evidenziata nelle foto da me scattate oggi pomeriggio: uno squallore che fa a pugni con la bellezza dei luoghi.

Il bello è che il Bucci ha dichiarato che la prossima volta Euroflora si svolgerà in modo diffuso nei vari parchi della città. Buona idea, così ne sputtaniamo di più: una equa suddivisione dei disastri.

La speranza è solo che alla prossima Euroflora ci sia un sindaco che sappia davvero fare il suo lavoro.

3:38
Lo scempio ai Parchi di Nervi
20 Gennaio 2019
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Piccapietra

Piccapietra:ricostruzione o scempio?

Portoria o Piccapietra ?

Fino al 1873, quando iniziò l’aggregazione delle zone fuori le mura, Genova era divisa in “sestieri”, appunto in numero di sei. Uno di essi era “Portöia”, ovvero Portoria, ma una delle strade principali era quella dei laboratori di scalpellini, ad esempio di ardesia,marmi e graniti, detta, appunto, “Piccapria”, o Piccapietra.

Negli anni successivi entrambi i nomi divennero sinonimi, anche se nei documenti pubblici del dopoguerra venne utilizzato di più Piccapietra.

Nel 1945 Genova era pesantemente segnata nella sua consistenza edilizia e nella sua struttura economica a causa degli eventi della II guerra mondiale. I due bombardamenti navali e le numerosissime incursioni aeree che colpirono la città, oltre alle notevoli perdite umane, provocarono la distruzione o il danneggiamento di circa il 30% degli edifici della città. Il Centro storico, esteso alla parte centrale della città, è l’area che subì maggiormente i danni del conflitto per la vicinanza a importanti obiettivi bellici quali il porto mercantile le aree cantieristiche. Su circa 53000 mq, ovvero il 25% della sua superficie, furono rasi al suolo o seriamente danneggiati gli edifici, spesso in modo irreparabile.

Con la Liberazione, avvenuta il 25 aprile del 1945, il CNL nominò sindaco il socialista Vannuccio Faralli, che, tra gli innumerevoli problemi si trovò a fronteggiare una situazione d’emergenza i cui dati più significativi erano i circa 50000 disoccupati e i 40.000 senza tetto.

Oltre all’emergenza le amministrazioni che per un decennio si succederanno alla guida del Comune, ovvero i sindaci del PCI Giovanni Tarello e Gelasio Adamoli e, dal 1951 il democristiano Vittorio Pertusio, cercheranno di affrontare la ricostruzione del tessuto economico e delle parti di città distrutte dalla guerra.

Tre furono gli strumenti che si intesero adottare per la ricostruzione ed il futuro della città:

  1. Il Piano di Ricostruzione
  2. il Piano Regolatore Generale
  3. i Piani Particolareggiati: di Piccapietra, Via Madre di Dio, e San Vincenzo.

Il Piano di Ricostruzione fu affidato alla fine del 1945 agli ingegneri Fuselli e Assereto e agli architetti Labò e Romano. Successivamente, nella discussione avvenuta in Consiglio comunale, appariva chiara la volontà dell’Amministrazione ad azioni di recupero mantenendo l’assetto preesistente, come si evince dalla dichiarazione fatta dal sindaco Adamoli: “Salvare, quindi, superstiti elementi caratteristici dando spazio, nello stesso tempo, ai vicoli ed alle strade armonizzando moderne concezioni urbanistiche agli antichi motivi architettonici”.

Si rileva, tuttavia, che importanti edifici di interesse storico ed artistico, quali l’Ospedale di Pammatone, il chiostro di Sant’Agostino ed il teatro Carlo Felice, non erano ricompresi in quelli da salvare.

Il Piano Regolatore della città ebbe un processo molto travagliato e fino alla prima metà degli anni ’50 furno approvate solo alcune parti, ad esempio alcuni piani di viabilità. L’approvazione definitiva di un PRG organico e complessivo si ebbe solo nel 1959.

Nel frattempo i Piani particolareggiati ebbero un percorso diverso. Venne indetto un concorso nazionale sia per Piccapietra che per la zona di Madre di Dio e quella di San Vincenzo, concorso per il quale nessuno dei progetti presentati risultò vincente.

ll Comune ritenne prioritario il piano particolareggiato di Piccapietra, per cui fu affidato all’Ufficio Tecnico con la collaborazione di Fuselli, Albini e Pucci, la redazione dello stesso che fu adottato dal Consiglio Comunale nel luglio del 1950.

Pianta di Piccapietra prima della II guerra mondiale

Il Piano prevedeva lo sbancamento totale dell’area per ottenere una superficie urbanistica di 63.700 mq. di cui 21.000 per la costruzione di nuovi edifici.

In pratica lo sbancamento avrebbe dovuto interessare tutta la zona delimitata da Via Ettore Vernazza, l’Accademia, la Galleria Mazzini, la Chiesa di Santa Marta, il terrapieno dell’Acquasola e il Corso Andrea Podestà. Tutto ciò che era compreso, escluso quanto sopra detto, doveva essere demolito per far posto alle nuove strade via XII Ottobre e Via IV Novembre e ai nuovi edifici.

Piano particolareggiato di Piccapietra

Il finanziamento dell’operazione sarebbe derivato della vendita delle aree di proprietà comunale e dai contributi di miglioria era previsto un ricavo di lire 2.700.000.000, somma che, oltre alla realizzazione di spazi pubblici, sarebbe stata utilizzata le 808 famiglie residenti negli edifici da demolire, 705 delle quali, appartenendo alla fascia dei meno abbienti, che avrebbero potuto avere appartamenti a canone sociale.

In realtà negli estensori del piano era chiara una visione ben diversa, anzi indirizzata a creare un quartiere di alto livello e dedicato più alle attività economiche, commercio ed uffici, che ad usi abitativi, in più a carattere sociale. Ciò si evince chiaramente dalla dichiarazione dell’ing. Fuselli, allegata alla relazione tecnica: ”Piccapietra è porzione centralissima della città rimasta esclusa dalla vita moderna” ed è un tipico esempio del “ baracchismo insediatosi nelle aree necrotiche centrali, residuate dai bombardamenti dove tipiche isole etniche di immigrati in breve tempo si ambientano e vengono raggiunti dai familiari”.

L’approvazione definitiva del Piano particolareggiato avvenne nel 1952 ma il Ministero dei Lavori Pubblici impose il Ministero impose la non demolizione della Chiesa di Santa Croce e San Camillo, della Chiesa della Santissima Annunziata (nota anche come Chiesa di Santa Caterina da Genova) nonché del Colonnato dell’atrio dell’Ospedale di Pammatone, poi inglobato nella struttura del Palazzo di Giustizia e, anche se fuori dal piano, del pronao neoclassico ed i portici del teatro Carlo Felice.

Immagine correlata
Il colonnato dell’Ospedale di Pammatone

Immagine correlata
Colonnato dell’Ospedale di Pammatone inglobato nel Palazzo di Giustizia

I lavori di demolizione e ricostruzione iniziarono nei primi anni ’60 e, grazie ad una diversa visione da parte della Giunta comunale del tempo, si svilupparono con chiari intenti speculativi, con la costruzione di edifici per attività commerciali od economiche e non certo per insediamenti abitativi.

Lavori di sbancamento

La Porta Aurea, distrutta

Furono abbattuti l’Ospedale di Pammatone e quello degli Incurabili, la “Porta Aurea” o “Porta dei D’Oria”, da cui il nome “Portoria”, l’Oratorio delle Casacce, la Chiesa di San Colombano, e tutte le strade medioevali che portavano al quartiere a all’ospedale. Tra queste Via Piccapietra, salita Cannoni, via dei Tintori, vico Pevere, vico delle Fucine.

Lo scempio urbanistico e alla memoria storica della città, a cui ne farà seguito uno altrettanto grave e, per certi versi ancora peggiore, quello di Via Madre di Dio, è stato vissuto dagli abitanti del luogo come un vero annientamento di una comunità che fu dispersa nelle delegazioni, senza poter mantenere la propria identità.

A perenne ricordo dello scempio del centro di Genova in Vico tre Magi, nella zona di Sarzano, fu eretta nel 1981 una colonna infame “a memoria dei viventi e a monito dei venturi”, come usava nella Repubblica di Genova.

Una canzone genovese, scritta da Gino Pesce, “Piccon dagghe cianin”, rappresenta perfettamente i sentimenti di coloro che dovettero abbandonare il quartiere natio:

 

Fra i moin de Piccaprïa che fan stramûo

ghe n’ëa de casa donde son nasciûo

ghe son passòu pe caxo stamattin

ma forse o chêu o guidava o mae cammin

chi l’é de Zena ou sa perché ‘n magon

o m’ha impedïo de dî quest’orassion

Piccon dagghe cianin

mi son nasciûo chi sotta ‘sto camin

son muage che m’han visto co-o röbin

arreguelâme in gïo co-o careghin

Piccon dagghe cianin

sovia ‘sta ciappa rotta a tocchettin

i compiti gh’ho faeto de latin

e gh’ho mangiòu trenette e menestroin

Ma zà ti stae cacciando zû o barcon

ti veddi ghe a Madonna da Paiscion

l’ha faeta o mae baccan trent’anni fa

pe grassia riçevua in mezo a-o mâ

Piccon dagghe cianin

son tutti corpi daeti in scio mae chêu

se propio fâne a meno ti no pêu

piccon dagghe cianin

Creddeime poche votte ho ciento gente

no m’emoscionn-o troppo façilmente

ma quande ho visto cazze a picconae

a stansa dove gh’é nasciuo mae moae

me se affermòu quarcosa propio chi

ho ciento e ho pregòu cosci

Piccon dagghe cianin

son tutti corpi daeti in scio mae chêu

se propio fâne a meno ti no pêu

piccon dagghe cianin

Fermite un pö piccon t’arrobo un mon

un tocco de poexia do cian de Picca….pria

 

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