Laghetti

Il laghetto di Villa Serra: dove è finita l’acqua ?

A Villa Serra, come noto parte del sistema dei Parchi di Nervi, c’è un laghetto scenografico. Come si può vedere anche in altri giardini di ville storiche genovesi, secondo il gusto ottocentesco, si tratta di una installazione fatta di camminamenti, ponticelli con balaustre in cemento finto legno, cascatelle, laghetti.

Il tutto in una zona con alberi di alto fusto, come lecci, palme, platani. Intorno panchine dove si può riposare al fresco.

Però condizione necessaria per definirli “laghetti” è quella della presenza dell’acqua. Invece l’acqua, almeno da lungo tempo, non c’è. L’insieme così risulta degradato e triste. Anzi in una parte è presente una pozza di un colore che ricorda uno scarico fognario.

Eppure basterebbe poco per ridare ai laghetti il loro aspetto originale, magari con un sistema di riciclo dell’acqua per non sprecarla, evitando nel contempo, come avveniva molti anni fa, la stagnazione.

I Parchi di Nervi meritano una maggior attenzione anche nei dettagli e non essere utilizzati per scopi lucrativi che nulla hanno a che vedere con la storicità dei luoghi.

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Villa Grimaldi Fassio

Villa Grimaldi Fassio a Nervi:dopo il Festival il prato non c’è più !!!

Nei mesi di giugno,luglio ed agosto 2021 si è tenuto nel parco storico della Villa Grimaldi Fassio di Genova Nervi il “Nervi Music Ballet Festival 2021“.

Una iniziativa sicuramente interessante e con la partecipazione di artisti di fama che si è tenuta nel posto sbagliato.

Infatti ha visto il prato antistante la Villa occupato da un ampio palcoscenico, dalla platea e dai servizi necessari, con evidente sofferenza dei prati che, praticamente, hanno perso completamente il manto erboso.

Ancora una volta un parco storico della città viene utilizzato per iniziative che nulla hanno a che vedere con la storicità dello stesso e che producono danni ingenti ai prati e, in genere, alla vegetazione.

Oltre a questo giova ricordare che per più di un mese buona parte del parco è stato inibito alla fruizione da parte dei cittadini in quanto non era possibile accedere alla Villa.

Ricordo, ancora, che dopo lo scempio perpetrato da Euroflora ai Parchi di Nervi, solo da pochi mesi il prato principale di Villa Grimaldi Fassio aveva ritrovato il suo aspetto verdeggiante, con l’attecchimento dell’erba, distrutta, come detto, dall’installazione dei vari stand espositivi e dal continuo calpestio dei visitatori.

Ora sarebbe utile sapere cosa accadrà al prato e alle aiuole, sperando che il rifacimento sia effettuato velocemente e a carico degli organizzatori del Festival, non certo da parte della comunità.

E si spera anche che le prossime amministrazioni abbiano, a differenza dell’attuale, un particolare riguardo per le memorie storiche della città, siano esse i Parchi storici, le Ville, i Giardini, Le Mura della città, le Chiese, ricordando che questi sono un patrimonio di tutti i Genovesi.

In conclusione, ricordando come facevano nei secoli passati i nostri avi, dedico ai responsabili del degrado urbano, partendo dall’attuale sindaco Bucci, una colonna infame, a perenne memoria del loro nefasto operato.

 

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Villa Gruber

Villa Gruber De Mari: il degrado trentennale

Vorrei iniziare questo spazio dedicato al degrado urbano e sociale di Genova dalla Villa Gruber De Mari in Corso Magenta. Si tratta di una villa risalente alle seconda metà del XVI secolo fatta costruire dalla famiglia De Mari. La villa ha subito diverse modifiche nei secoli successivi, fino ad arricchirsi nei primi decenni del XX secolo, di una palazzina in stile Liberty nella parte adiacente al Corso Magenta. Sempre nel corso del XX secolo la villa appartenne alla famiglia Perrone, quella proprietaria del quotidiano Il Secolo XIX e, infine, passata alla proprietà del Comune di Genova alla fine del ‘900, in cambio della possibilità di lottizzare l’area a monte per la costruzione di palazzine residenziali.

Quindi il parco venne aperto alla fruizione del pubblico, mentre la villa, o parte di essa, fu destinata ad ospitare il Museo di Americanistica “Federico Lunardi” e, nel lato di ponente, la stazione dei Carabinieri di Castelletto. A causa delle cattive condizioni della villa il museo fu successivamente trasferito al Castello D’Albertis.

Nel tempo sono stati aperti uno spazio per bambini ed un campetto per giochi con la palla (non si può definire un vero e proprio campetto da calcio o altro a causa della pavimentazione in cemento) ed ospita in alcuni locali una Pubblica Assistenza ed una Associazione sportiva.

Il parco presenta diverse aiuole e vialetti e, pur non essendo molto esteso, sono presenti diversi alberi d’alto fusto, come pini e lecci.

Purtroppo la condizione manutentiva è scarsa, e scarsa è pure la vigilanza, per cui molti proprietari di cani, pur esistendo in loco un’area di sgambatura, utilizzano le aiuole ed il grande prato declive come latrina ad uso dei propri animali, spesso “dimenticandosi” di ritirare i regalini degli stessi.

Il degrado maggiore lo si osserva nella Palazzina Liberty da decenni abbandonata e vandalizzata, con impalcature preliminari che ne denunciano la scarsa stabilità. Detta palazzina è di proprietà del Teatro di Genova, e non si capisce perchè non venga passata al Comune per farne un uso civico.

Il degrado si osserva anche all’ingresso ove quello che doveva essere l’abitazione dei custodi è in pessime condizioni, così come il sovrastante terrazzino panoramico, al quale si accede attraverso una scaletta pericolante. Similmente pericolanti cono altre scale, sia quella che porta all’ingresso inferiore, sia quella che passa accanto la sede della Pubblica assistenza e termina in una crêuza che porta alla parte alta di Via Cesare Corte.

Rispetto altri parchi e giardini cittadini la situazione appare meno grave, ma ho voluto farne il primo intervento sul degrado urbano, per una sorta di affezione con quella zona della città dove ho vissuto la mia infanzia ed adolescenza e per una villa che è  a un kilometro dalla mia abitazione e che frequento molto spesso.

In conclusione, un patrimonio culturale abbandonato a sè stesso, che potrebbe tranquillamente ospitare un museo, una pinacoteca, od anche servizi per i cittadini, centri di aggregazione sociale ed altro ancora.

Spero che la prossima amministrazione comunale sia meno insensibile dell’attuale giunta del sindaco Bucci, che non mostra alcun interesse per il patrimonio culturale della città,ma solo alla apertura di supermercati o, come accade per il Porticciolo di Nervi, a colate di cemento che deturpano in modo osceno l’ambiente naturale.

Il video che propongo è stato da me girato nel febbraio di quest’anno.

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Via Palestro

Genova G8 2001:quando la Democrazia fu sospesa

Vent’anni fa, dal 19 al 22 luglio 2001 a Genova, in occasione del summit dei capi di stato e di governo degli 8 stati economicamente più potenti della Terra, la democrazia e la Costituzione italiana furono sospese.

Già dagli ultimi anni del XX secolo erano nati in tutto il mondo movimenti popolari contro la globalizzazione, l’imperante neoliberismo, la dittatura economica nei confronti del terzo mondo, lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali. Nel 1999 a Seattle e nel 2001 a Davos vi furono significative proteste, in alcuni casi sfociate anche in scontri con le forze dell’ordine.

Per il summit del 2001 fu scelta Genova e, propriamente, il Palazzo Ducale come sede. Una scelta improvvida, in quanto si sarebbe dovuta creare una “zona rossa” in tutto il centro, comprendendo anche il centro storico e la zona portuale.

I movimenti contrari al summit, costituitisi nel Genoa Social Forum, dichiararono la volontà di essere presenti a Genova per protestare civilmente chiedendo ai rappresentanti degli 8 paesi economicamente predominanti una inversione di rotta delle politiche economiche e sociali.

Erano rappresentate diverse anime della protesta, da quelle di matrice cattolica, fortemente interessate al riequilibrio economico col terzo mondo e alla cancellazione del debito di questi paesi, ad altre reti contrarie alla globalizzazione e allo sfruttamento intensivo delle risorse, fino a gruppi sedicenti anarchici con la non celata intenzione di una protesta anche violenta, intesa come azioni atte ad espugnare la zona rossa ed accedere ai luoghi del summit.

Quello che accadde in quei giorni è stato ampiamente documentato e dibattuto. Fatti come la morte di Carlo Giuliani, la macelleria messicana perpetrata dalle forze dell’ordine alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto sono noti a tutti e fiumi di inchiostro sono stati versati, per cui la mia intenzione è solo quella di testimoniare ciò che ho visto in prima persona, pur non partecipando direttamente alle proteste.

Per prima cosa, alcune foto che allora feci in Via Assarotti, Via Palestro e Piazza Dante ai reticolati che chiudevano gran parte del centro della città, dividendo chi era dentro da chi era fuori. Già questo poteva essere considerato una violenza alla Costituzione, in particolare all’articolo 16: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”. Appunto: ragioni politiche.

La seconda, di cui purtroppo non ho una documentazione fotografica, è quanto ho potuto osservare in Piazza Manin. Nei giardini della piazza erano accampate una ventina di persone, donne ed uomini appartenenti a una organizzazione cattolica. Nel pomeriggio del 21 (non sono certo della data), da casa mia udii delle urla rimbombare dalla valle. Erano dei “black bloc” che si stavano dirigendo verso il carcere di Marassi. Udii anche lo scoppio di qualche petardo e vidi nuvole di lacrimogeni. Dopo poco gli antagonisti si diressero verso la lunga Scalinata Montaldo, probabilmente per cercare di raggiungere nuovamente il centro. Da casa mia mi diressi verso Piazza Manin e li vidi passare per dirigersi verso Corso Armellini inseguiti da un discreto numero di celerini e guardie di finanza. Questi però non seguirono gli antagonisti, ma visto che nei giardini vi erano le tende e il gruppo di appartenenti alle organizzazioni religiose, pensarono bene di devastare le tende e, soprattutto, manganellare i poveretti che se ne stavano lì tranquilli.

Molti residenti, come me, assistettero alla cosa, gridando ripetutamente agli agenti di smettere, che quelli erano persone del tutto estranee agli scontri, ma nulla valse.

Quegli agenti presi da un furore animalesco, continuarono a manganellare, finché. forse per il fatto che vi erano diversi testimoni, abbandonarono la preda dirigendosi verso via Assarotti.

Nella mia vita credo di non aver mai assistito ad una così brutale violenza da parte di tutori dell’ordine. E le cronache dicono che non fu un caso isolato visto ciò che stava accadendo in varie parti della città, financo ciò che  accadde alla scuola Diaz ed alla caserma di Bolzaneto.

“Macelleria messicana” la definì il procuratore della repubblica Enrico Zucca, a significare qualcosa che non poteva che essere perpetrato da bestie disumane.

Certo, dei fatti di Genova ne portano la responsabilità morale sia il governo Berlusconi-Fini, sia gli alti gradi in comando delle forze dell’ordine (per altro quasi sempre non perseguiti ma premiati), ma colpevoli lo sono stati  quei sadici agenti che con la violenza gratuita tradirono la loro divisa, ed il giuramento fatto alla Repubblica.

Oggi, dopo 20 anni, sono necessarie dai vertici della Polizia “Trasparenza e consapevolezza”. E’ quello che il sostituto procuratore generale Enrico Zucca chiede ai vertici della polizia di Stato “per dimostrare davvero di aver voltato pagina”.

I fatti di Genova del 2001 sono stati qualificati dai Tribunali, Corte di appello, Cassazione e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo come torture. E le torture sono, senza alcuna giustificazione, inammissibili in un paese civile.

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Pista ciclabile

Ci sono ciclisti a Genova ?

Una domenica pomeriggio a Genova per vedere quanti ciclisti si incontrano partendo da Circonvallazione a Monte e arrivando ai Parchi di Nervi, in entrambi i sensi di marcia, ove possibile

In particolare ho voluto osservare quanti utilizzino le piste ciclabili delle zone di Foce ed Albaro in un giorno festivo ed in un’ora in cui dovrebbe esserci traffico di ogni tipo.

Quelle dell’asse della Val Bisagno le conosco, passando da quelle parti quasi tutti i giorni, e le vedo desolatamente vuote.

Come è noto l’idea delle piste ciclabili è dell’attuale sindaco di Genova Bucci, il quale ha inteso così acquisire la benevolenza, e forse i voti, di uno sparuto numero di ciclisti. E non parlo di quelli che praticano il bellissimo sport del ciclismo, atleti che non si sognerebbero mai di passare per delle piste verniciate con vernice scivolosa (detto da molti di loro), ma di quelli che vorrebbero utilizzare la bicicletta come mezzo di trasporto urbano. Esattamente come accade in molte città italiane, Ferrara, Reggio Emilia, o nel mondo, come Amsterdam, Copenaghen. Ma la differenza è che Genova è una città fatta di saliscendi, constrade spesso strette, marciapiedi a volte inesistenti. In più la maggior parte delle zone residenziali sono in collina, per cui risulta molto difficile risalire al termine della giornata.

Certo, ora esistono le biciclette elettriche, ma sono in numero esiguo rispetto, ad esempio, i motocicli e gli scooter che a Genova sono circa 150.000 e sono il mezzo di trasporto più utilizzato specie nel centro città.

Sorge spontanea una domanda: “perchè rubare spazio al trasporto pubblico e privato e a quello su due ruote (con motore) per agevolare quello di pochissimi ciclisti ? Ne è un esempio lampante Corso Italia, dove da due corsie per senso di marcia con la apertura di una larga pista ciclabile, ora si assiste a perenni code di auto, moto, autobus, etc. E l’ineffabile sindaco (spero per più poco) ha pure partorito l’insana idea di mettere il limite a 30 km/h. Chiunque conosca appena Corso Italia sa benissimo che nessuno rispetta il limite, anzi se qualcuno tendesse rallentare si troverebbe coperto da insulti di chi è dietro, in quanto non è possibile sorpassare.

Comunque per curiosità ho provato a vedere quanti ciclisti incontravo nel tragitto da Piazza Manin a Capolungo, passando per le strade a mare. Una giornata non bella ma calda, molta gente con moto ed auto in giro ma di ciclisti in giro ben pochi. Il primo l’ho incontrato in Corso Marconi, tre, un padre e due bambini in Corso Italia lato mare, poi in Via Cavallotti un ciclista sportivo, e di seguito altri 10 tutti nel senso di marcia levante-centro. In totale 15 ciclisti e nemmeno tracce di biciclette nei vari posteggi incontrati.

Ovviamente le moto e le auto erano molte di più, sia in circolazione che in parcheggio.

Ribadisco il concetto: Genova non è una città di ciclisti. Il servizio pubblico, specie nelle zone collinari è carente, e l’unico mezzo di trasporto urbano per chi si deve recare in centro è quello a due ruote, con motore sia termico che elettrico.

Pertanto avrebbe molto più senso aumentare i parcheggi per moto, favorire la mobilità permettendo di usare alcuni tratti di strisce gialle, levando gli inutili limiti di velocità a 30 km/h tranne che per strade del centro ad alta frequentazione di pedoni.

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Villetta Di Negro

La Villetta Di Negro: un gioiello abbandonato

Villetta Di Negro, per molti genovesi “Dinegro” giusto per risparmiare uno spazio, è un parco comunale al centro della città di Genova, su una piccola collina sovrastante Piazza Corvetto e Piazzale Mazzini, inglobando un tratto i bastioni, detti di “Luccoli”, delle Mura secentesche.

La Villetta su fatta costruire agli inizi del XIX secolo dal marchese Gian Carlo Di Negro ed il parco adornato sia di piante di alto fusto, sia di vialetti con aiuole, che portavano alla villa padronale dalla quale la vista spaziava fino al mare, e con la presenza di numerose statue, secondo lo stile classicheggiante di quel periodo.

Nella seconda metà del XIX secolo, a seguito della morte del marchese Di Negro, il complesso fu acquistato dal e la villa fu utilizzata Comune di Genova, come Orto botanico dell’Università di Genova.

Con i bombardamenti della seconda guerra mondiale, la villa fu  praticamente distrutta, tranne il terrazzamento che dà verso i palazzi di Piazza Fontane Marose, e ricostruita, in stile moderno, negli anni successivi al fine di ospitare il Museo di arte orientale Edoardo Chiossone.

Nel periodo intercorrente tra le due guerre mondiali il giardino fu arricchito sia di piante non autoctone sia di due grotte finte “grotte”, una grande ed una piccola. Fu, inoltre, sistemata la Cascata con la creazione di sbalzi e conche, tali da rendere più scenografico il flusso dell’acqua.

Risale a quel periodo anche la costruzione della “Casa dei giardinieri”, in finto legno ed arroccata tra la voliera grande e la cascata. Ora è del tutto abbandonata o utilizzata come deposito.

Fino agli anni ’60 del XX secolo il giardino presentava diverse specie di uccelli, a partire da cigni e oche nel laghetto accanto all’ingresso di Piazzale Mazzini, per passare ad altri volatili, con diverse specie di pappagalli, nella voliera grande ed in quella piccola.

Alla fine del XX secolo la Villetta Di Negro andò incontro ad un continuo degrado, sia delle strutture, sia per il fatto che non vi erano più giardinieri residenti e, tanto meno, non veniva più effettuato alcun controllo da parte della Polizia municipale.

L’unico spazio utile per il gioco dei bambini, un tempo chiamato “Il Quadrato”, composto da bellissime aiuole, da larghi passaggi e da numerose panchine, divenne, come è ora, una spianata polverosa e coperta di foglie cadute negli anni.

La sommità della collina è forse al momento l’unica frequentata da bambini e loro genitori, in quanto è l’unico spiazzo, e presenta il belvedere detto “La Pagoda”, purtroppo inaccessibile da molti anni, e l’alto pennone della bandiera di Genova.

La parte più nota e visitata da turisti è senz’altro la Cascata scenografica: è stata ripristinata dopo un periodo di abbandono, e meriterebbe un po’ più di manutenzione e pulizia, ad esempio mettendo dei filtri per l’acqua che, come è noto, è in circolo, pompata dal basso all’alto.

Le grotte sono state chiuse da molti anni, sbarrando gli ingressi con cancellate ed ora sono, le grandi, un ricettacolo di immondizia indegna di una città civile, le piccole, essendo fuori dal passaggio, usate da latrina da alcuni visitatori.

Sembra che il motivo della chiusura sia stato l’utilizzo “improprio” in particolare della grotta grande, da parte di tossicomani, sbandati, coppie di vario genere. In effetti in quelle grotte, negli anni che ho frequentato erano luogo di scambio di effusioni tra adolescenti, con relativo passaggio di “osservatori”, ma tutto si svolgeva senza eccessi e senza pericoli.

Lo stato delle aiuole è precario, tranne alcune, la maggior parte sono incolte, i viali sono ricoperti da uno strato di foglie cadute da diversi anni.

Lo stato di incuria delle aiuole ha fatto sì che siano proliferati colonie murine, probabilmente dei ratti, come documentato nel video. In compenso non ci sono più gatti, come un tempo.

I busti degli eroi del Risorgimento, sono stati restaurati da privati, mentre quelli verso ponente, dedicati a personaggi importanti della storia genovese, un tempo sfregiate nel naso per un motivo che non conosco, e note come “I nasi rotti”, sono state rimosse, tranne una, dai piedistalli che ora restano lì testimoni dello scempio.

Nel lato verso l’ingresso prospicente Piazza dei Cappuccini, dopo la prima rampa di scale, vi è una sorta di gazebo metallico con sedili e panchine, un tempo chiamato “Tucul”. Era un luogo di ritrovo, tra gli ann’60 e ’70 del secolo scorso, di molti giovani, in particolare alternativi che colà discutevano di temi sociali e pianificavano le proteste studentesche di quegli anni. Alcune di quei giovani rimasero nel solco della lotta democratica, altri presero la strada della protesta violenta.

In conclusione la è un luogo bellissimo, al centro della città dalla quale si estranea dei rumori, un’oasi di quiete che Villetta Di Negro dovrebbe essere valorizzata molto di più di ora.

In particolare con la pulizia dei viali, la cura delle aiuole e degli alberi, specie quelli monumentali, l’apertura delle grotte, eventualmente con illuminazione, il ripristino della “Pagoda” del belvedere, la vigilanza da parte di agenti della Polizia locale o di volontari, il divieto di accesso ai cani non essendoci un’area destinata (possono sempre andare all’Acquasola), il ripristino del “Quadrato” e la cartellinatura delle piante più importanti con nome linneiano della specie e quello comune.

Ultimo ma non per importanza, il ripristino funzionale dei WC automatici, magari rendendoli a piccolo pagamento.

Sapendo come vanno le cose, come siano insensibili gli amministratori pubblici allo sviluppo e mantenimento del verde pubblico e delle ville e parchi urbani, temo che non farò in tempo a rivedere come era la Villetta Di Negro. Anzi “Dinegro”, come sempre l’ho chiamata.

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Villa Croce

C’era una volta a Villa Croce…..

Villa Croce è una villa ottocentesca con un piccolo parco che si trova nel quartiere di Carignano, un tempo, prima che fossero costruiti il Corso Aurelio Saffi e poi la Fiera del Mare, praticamente sul mare.

A Villa Croce ho passato molte giornate da bambino, accompagnato da mia nonna, e ricordo in particolare una piccola fontana scenografica con una cascatella. L’insieme appariva (ed appare tutt’oggi) come una roccia naturale, scavata dall’azione dell’acqua. In realtà è costruita con pietre legate da malta cementizia.

L’acqua arrivava dall’alto,  scendeva in una vasca dove, se ricordo bene, erano dei pesci rossi, poi attraverso un cunicolo arrivava, con piccola cascata, alla base dove si disperdeva in un tombino.

Niente di straordinario, ma ricordo che giocavo a mettere delle foglie nella vasca e notare quanto ci mettessero ad arrivare alla cascatella. Oppure,con altri bambini, a fare gara a quale foglia arrivasse per prima alla base. Un modo fanciullesco di imparare l’idrodinamica.

Da molti anni la fontana è asciutta, ricettacolo di spazzatura, foglie mai rimosse: un vero schifo. Quella dei giochi d’acqua abbandonati è una costante delle ville e dei parchi storici genovesi. Si salva la cascata di Villetta Dinegro, mi dicono sia stata da poco ripristinata quella di Villa Duchessa di Galliera, ma nelle altre ville, i giochi d’acqua sono ….senza acqua. Anche nei Parchi di Nervi vi sono delle passerelle sui dei piccoli rivi artificiali, tipici dei giardini giapponesi, ma da molti anni aridi come il deserto.

Eppure ci vorrebbe poco per sistemarli, non sarebbe nemmeno uno spreco d’acqua in quanto con una piccola pompa si potrebbe riciclare, ma manca la volontà politica.

Il sindaco Bucci è interessato solo a far aprire supermercati, a creare piste ciclabili in una città dove i ciclisti non ci sono o quasi, ma della manutenzione, pulizia e controllo delle ville e parchi storici non se ne occupa minimamente.

Genova ha bisogno di persone serie e capaci e non di personaggi che mal sopportano la democrazia e le prerogative degli eletti al comune o ai municipi, e che pensano che le decisioni debbano essere prese solo da loro stessi.

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Colonna infame

I “giardini” di via Montello in Genova

Genova, si sa, è una cittVia Montelloà nata sul mare e che si è, per forza di cose, espansa nei secoli sulle pendici dell’Appennino e lungo le valli dei torrenti.

Per questo motivo non 

ci sono a Genova parchi urbani estesi, ma solo quelli collegati alle ville patrizie costruite nel corso dei secoli.

Nell’800 e nel secolo scorso le riforme urbanistiche, a partire da quelle di Carlo Barabino, hanno modificato profondamente l’assetto viario della città, con la costruzione, intorno al 1850, dei due principali assi in salita, via Assarotti e via Caffaro, che portavano alla nuova Circonvallazione a Monte. Questi assi, così come i corsi che portavano a Castelletto e da lì oltre, avevano tutti in comune il fatto che i palazzi erano uno adiacente all’altro, con solo qualche distacco di servizio, ma non si pensò assolutamente a creare degli spazi verdi, relegando il tutto, quando possibile, ad alberature ai margini della strada.

Solo ove le curve delle strade lasciavano qualche spazio disponibile, lì erano, non sempre, creati dei piccoli giardini ad uso pubblico. Percorrendo la Circonvallazione a Monte tra Piazza Manin e Castelletto, ci sono almeno tre esempi: uno in Corso Magenta all’uscita di Via Santa Maria della Sanità, uno poco dopo nella zona nota come “Vaccheria”, ed uno in Piazza Villa.

Simili spazi non sfruttabili pienamente per costruire palazzi sono stati nel tempo lasciati come spazi verdi, sia con presenza di vegetazione spontanea, sia, nei periodi più favorevoli, con l’impianto di alberature, ad esempio lecci, pini domestici, platani.

Ne è un esempio il tratto terminale alto di Corso Monte Grappa, dove è presente un ampio spazio verde digradante verso Via Montello. La zona di Via Montello risale agli anni ’60 ed è posta sulla sommità della parte destra della bassa Val Bisagno. La strada è frutto di una urbanizzazione selvaggia, tipica di quegli anni, con palazzi molto vicini ed alti. Lo spazio verde di cui si parla sarebbe, quindi, molto importante per migliorare la vivibilità della zona, tanto è vero che negli anni ’60 del secolo scorso, furono create delle discese che scendevano, in mezzo al verde, da Corso Monte Grappa. Nelle curve dei sentieri erano stati creati dei sedili in pietra ed in un tratto anche delle panchine alla genovese, per un riposo sotto i grandi pini e cipressi.

Purtroppo negli ultimi anni, forse anche decenni, questa area verde, una vera e propria pinetina, è stata del tutto abbandonata ad uno stato che rappresenta pericoli per chi vi transiti. Le scalinate sono ricche di buche, le aiuole aride usate ormai solo come latrine dai cani, gli alberi necessitano di una manutenzione che vada al di là del taglio dei rami più pericolosi, ma che contempli il rifacimento delle aiuole, la collocazione di alberi al posto di quelli nel tempo crollati, e la vera destinazione dell’area a giardino pubblico.

Purtroppo temo sia un’utopia: l’attuale giunta comunale con il sindaco Bucci si disinteressa completamente alla manutenzione del verde pubblico –basti vedere lo stato di molti parchi di ville storiche-, preferendo investire soldi nella creazione di piste ciclabili non usate da nessuno, in quanto Genova non è mai stata e mai sarà, proprio per la sua struttura, una città per ciclisti, intesi come coloro che utilizzano il ciclo non per sport ma per spostarsi.

Un tempo, quando qualche personaggio pubblico si fosse macchiato di colpe nei confronti della Superba, per lo stesso era eretta una Colonna infame, a perpetua memoria e ludibrio. Famosa è quella di Porta dei Vacca ed in tempi più recenti quella affissa nei Giardini Baltimora, per ricordare lo scempio perpetrato con l’abbattimento del quartiere Madre di Dio per la costruzione degli orrendi palazzoni ospitanti, tra l’altro,la Regione Liguria.

Ecco una breve clip con le immagini dei “giardini” di Via Montello.

4:03
I "Giardini" di via Montello in Genova
19 Marzo 2021

 

Al sindaco Bucci, come simbolo di tutti i reggitori della cosa pubblica genovese susseguitisi nel tempo, faccio dono di una Colonna infame virtuale.:

Colonna infame
Colonna infame
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