Piero Calamadrei

Piero Calamandrei e la difesa della scuola pubblica

In questi giorni da diversi ambienti, in particolare della destra clericale, si sono levate proteste per l’assenza di provvedimenti economici a favore delle scuola paritarie e private nell’ambito del “Decreto Rilancio”, mentre per la scuola pubblica sono stati stanziati dei fondi per l’assunzione di nuovi docenti, l’edilizia scolastica, la sicurezza.

Ho sempre considerato stucchevole l’argomento in quanto l’articolo 33 della Costituzione italiana dice a chiare lettere che “…Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato

Più chiaro di così !! “Senza oneri per lo Stato” significa che nessuna spesa o finanziamento per la scuola non statale può essere iscritto al bilancio dello Stato.

Tuttavia negli anni passati questa disposizione cogente è stata raggirata con artifizi contabili, in modo che le scuole non pubbliche hanno avuto cospicui finanziamenti da fondi pubblici, in particolare dalle Regioni ove maggiore era il peso politico dei partiti filo-clericali.

In questo momento credo che tale raggiri debbano smettere, ogni fondo per l’istruzione deve essere dato alla scuola pubblica, al massimo potrà essere assegnato qualche bonus alle famiglie per iscrivere i loro figli a scuole private, pari al costo che avrebbe l’iscrizione ad una scuola pubblica.

Nulla di più.

Per questo voglio riportare un famoso intervento del grande giurista Piero Calamandrei che sarebbe utile ciascun politico tenesse a mente.

 

Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (ADSN),Roma 11 febbraio 1950

[Pubblicato in Scuola democratica, periodico di battaglia per una nuova scuola, Roma, iv, suppl. al n. 2 del 20 marzo 1950, pp. 1-5]

Cari colleghi,

Noi siamo qui insegnanti di tutti gli ordini di scuole, dalle elementari alle università […]. Siamo qui riuniti in questo convegno che si intitola alla Difesa della scuola. Perché difendiamo la scuola? Forse la scuola è in pericolo? Qual è la scuola che noi difendiamo? Qual è il pericolo che incombe sulla scuola che noi difendiamo? Può venire subito in mente che noi siamo riuniti per difendere la scuola laica. Ed è anche un po’ vero ed è stato detto stamane. Ma non è tutto qui, c’è qualche cosa di più alto. Questa nostra riunione non si deve immiserire in una polemica fra clericali ed anticlericali. Senza dire, poi, che si difende quello che abbiamo. Ora, siete proprio sicuri che in Italia noi abbiamo la scuola laica? Che si possa difendere la scuola laica come se ci fosse, dopo l’art. 7? Ma lasciamo fare, andiamo oltre. Difendiamo la scuola democratica: la scuola che corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà […].

La scuola, come la vedo io, è un organo “costituzionale”. Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola “l’ordinamento dello Stato”, sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l’organismo costituzionale e l’organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell’organismo umano hanno la funzione di creare il sangue […].

La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall’afflusso verso l’alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l’alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società […].

A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità (applausi). Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali.

Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione, sia pure con una formula meno immaginosa. È l’art. 34, in cui è detto: “La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Questo è l’articolo più importante della nostra Costituzione. Bisogna rendersi conto del valore politico e sociale di questo articolo. Seminarium rei pubblicae, dicevano i latini del matrimonio. Noi potremmo dirlo della scuola: seminarium rei pubblicae: la scuola elabora i migliori per la rinnovazione continua, quotidiana della classe dirigente. Ora, se questa è la funzione costituzionale della scuola nella nostra Repubblica, domandiamoci: com’è costruito questo strumento? Quali sono i suoi principi fondamentali? Prima di tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di tutto la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius. Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella dello Stato sia ottima (applausi). Vedete, noi dobbiamo prima di tutto mettere l’accento su quel comma dell’art. 33 della Costituzione che dice così: “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”. Dunque, per questo comma […] lo Stato ha in materia scolastica, prima di tutto una funzione normativa. Lo Stato deve porre la legislazione scolastica nei suoi principi generali. Poi, immediatamente, lo Stato ha una funzione di realizzazione […].

Lo Stato non deve dire: io faccio una scuola come modello, poi il resto lo facciano gli altri. No, la scuola è aperta a tutti e se tutti vogliono frequentare la scuola di Stato, ci devono essere in tutti gli ordini di scuole, tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti dallo Stato, scuole pubbliche, che permettano di raccogliere tutti coloro che si rivolgono allo Stato per andare nelle sue scuole. La scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell’art. 33 della Costituzione. La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini, non crea né cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l’espressione di un altro articolo della Costituzione: dell’art. 3: “Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali”. E l’art. 151: “Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni […].

Quando la scuola pubblica è così forte e sicura, allora, ma allora soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, ma allora soltanto, la scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che forze private, iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di gruppi politici, di filosofie, di correnti culturali, cooperino con lo Stato ad allargare, a stimolare, e a rinnovare con varietà di tentativi la cultura. Al diritto della famiglia, che è consacrato in un altro articolo della Costituzione, nell’articolo 30, di istruire e di educare i figli, corrisponde questa opportunità che deve essere data alle famiglie di far frequentare ai loro figlioli scuole di loro gradimento e quindi di permettere la istituzione di scuole che meglio corrispondano con certe garanzie che ora vedremo alle preferenze politiche, religiose, culturali di quella famiglia. Ma rendiamoci ben conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di varietà, che può voler dire eterogeneità di correnti decentratrici, che lo Stato deve impedire che divengano correnti disgregatrici. La scuola privata, in altre parole, non è creata per questo.

La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta. Quindi, perché le scuole private sorgendo possano essere un bene e non un pericolo, occorre: (1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di altre. (2) Che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione. Solamente in questo modo e in altri più precisi, che tra poco dirò, si può avere il vantaggio della coesistenza della scuola pubblica con la scuola privata. La gara cioè tra le scuole statali e le private. Che si stabilisca una gara tra le scuole pubbliche e le scuole private, in modo che lo Stato da queste scuole private che sorgono, e che eventualmente possono portare idee e realizzazioni che finora nelle scuole pubbliche non c’erano, si senta stimolato a far meglio, a rendere, se mi sia permessa l’espressione, “più ottime” le proprie scuole. Stimolo dunque deve essere la scuola privata allo Stato, non motivo di abdicazione.

Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia, perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito. Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo. Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c’è un’altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime. Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci).

Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private.

Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: (1) ve l’ho già detto: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. (3) Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico! Quest’ultimo è il metodo più pericoloso. È la fase più pericolosa di tutta l’operazione […]. Questo dunque è il punto, è il punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini, di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito […].

Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la Costituente, a prevenirlo nell’art. 33 della Costituzione fu messa questa disposizione: “Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza onere per lo Stato”. Come sapete questa formula nacque da un compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il destro, oggi, ad interpretazioni sofistiche […]. Ma poi c’è un’altra questione che è venuta fuori, che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi giuristi chiamiamo la “frode alla legge”, che è quel quid che i clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge per sapere come può violare la legge figurando di osservarla […]. E venuta così fuori l’idea dell’assegno familiare, dell’assegno familiare scolastico.

Il ministro dell’Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti Familiari, disse: la scuola privata deve servire a “stimolare” al massimo le spese non statali per l’insegnamento, ma non bisogna escludere che anche lo Stato dia sussidi alle scuole private. Però aggiunse: pensate, se un padre vuol mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E questo padre è un cittadino che ha già pagato come contribuente la sua tassa per partecipare alla spesa che lo Stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da questo doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un suo figlio alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha un sussidio, un assegno […].

Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? È un diritto che uno, se vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica. Per portare un paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un discorso simile. Voi sapete come per ottenere giustizia ci sono i giudici pubblici; peraltro i cittadini, hanno diritto di fare decidere le loro controversie anche dagli arbitri. Ma l’arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di lire. Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici pubblici l’arbitrato, di rivolgersi allo Stato per chiedergli un sussidio allo scopo di pagarsi gli arbitri! […]. Dunque questo giuoco degli assegni familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a disertare le scuole dello Stato e quindi un modo indiretto di favorire certe scuole, un premio per chi manda i figli in certe scuole private dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una certa religione, che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo partito […].

Poi, nella riforma, c’è la questione della parità. L’art. 33 della Costituzione nel comma che si riferisce alla parità, dice: “La legge, nel fissare diritti ed obblighi della scuola non statale, che chiede la parità, deve assicurare ad essa piena libertà, un trattamento equipollente a quello delle scuole statali” […]. Parità, sì, ma bisogna ricordarsi che prima di tutto, prima di concedere la parità, lo Stato, lo dice lo stesso art. 33, deve fissare i diritti e gli obblighi della scuola a cui concede questa parità, e ricordare che per un altro comma dello stesso articolo, lo Stato ha il compito di dettare le norme generali sulla istruzione. Quindi questa parità non può significare rinuncia a garantire, a controllare la serietà degli studi, i programmi, i titoli degli insegnanti, la serietà delle prove. Bisogna insomma evitare questo nauseante sistema, questo ripugnante sistema che è il favorire nelle scuole la concorrenza al ribasso: che lo Stato favorisca non solo la concorrenza della scuola privata con la scuola pubblica ma che lo Stato favorisca questa concorrenza favorendo la scuola dove si insegna peggio, con un vero e proprio incoraggiamento ufficiale alla bestialità […].

Però questa riforma mi dà l’impressione di quelle figure che erano di moda quando ero ragazzo. In quelle figure si vedevano foreste, alberi, stagni, monti, tutto un groviglio di tralci e di uccelli e di tante altre belle cose e poi sotto c’era scritto: trovate il cacciatore. Allora, a furia di cercare, in un angolino, si trovava il cacciatore con il fucile spianato. Anche nella riforma c’è il cacciatore con il fucile spianato. È la scuola privata che si vuole trasformare in scuola privilegiata. Questo è il punto che conta. Tutto il resto, cifre astronomiche di miliardi, avverrà nell’avvenire lontano, ma la scuola privata, se non state attenti, sarà realtà davvero domani. La scuola privata si trasforma in scuola privilegiata e da qui comincia la scuola totalitaria, la trasformazione da scuola democratica in scuola di partito.

E poi c’è un altro pericolo forse anche più grave. È il pericolo del disfacimento morale della scuola. Questo senso di sfiducia, di cinismo, più che di scetticismo che si va diffondendo nella scuola, specialmente tra i giovani, è molto significativo. È il tramonto di quelle idee della vecchia scuola di Gaetano Salvemini, di Augusto Monti: la serietà, la precisione, l’onestà, la puntualità. Queste idee semplici. Il fare il proprio dovere, il fare lezione. E che la scuola sia una scuola del carattere, formatrice di coscienze, formatrice di persone oneste e leali. Si va diffondendo l’idea che tutto questo è superato, che non vale più. Oggi valgono appoggi, raccomandazioni, tessere di un partito o di una parrocchia. La religione che è in sé una cosa seria, forse la cosa più seria, perché la cosa più seria della vita è la morte, diventa uno spregevole pretesto per fare i propri affari. Questo è il pericolo: disfacimento morale della scuola. Non è la scuola dei preti che ci spaventa, perché cento anni fa c’erano scuole di preti in cui si sapeva insegnare il latino e l’italiano e da cui uscirono uomini come Giosuè Carducci. Quello che soprattutto spaventa sono i disonesti, gli uomini senza carattere, senza fede, senza opinioni. Questi uomini che dieci anni fa erano fascisti, cinque anni fa erano a parole antifascisti, ed ora son tornati, sotto svariati nomi, fascisti nella sostanza cioè profittatori del regime.

E c’è un altro pericolo: di lasciarsi vincere dallo scoramento. Ma non bisogna lasciarsi vincere dallo scoramento. Vedete, fu detto giustamente che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media italiana, perché quei ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso, uscivano dalle nostre scuole e dai nostri licei e dalle nostre università. Però guardate anche durante la Liberazione e la Resistenza che cosa è accaduto. È accaduto lo stesso. Ci sono stati professori e maestri che hanno dato esempi mirabili, dal carcere al martirio. Una maestra che per lunghi anni affrontò serenamente la galera fascista è qui tra noi. E tutti noi, vecchi insegnanti abbiamo nel cuore qualche nome di nostri studenti che hanno saputo resistere alle torture, che hanno dato il sangue per la libertà d’Italia. Pensiamo a questi ragazzi nostri che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non disperiamo dell’avvenire. Siamo fedeli alla Resistenza. Bisogna, amici, continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la continuità della coscienza morale.

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Partigiani

Con i fascisti non si discute, con ogni mezzo li si combatte

Nella seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso, agli inizi della mia carriera di docente, ebbi l’occasione di conoscere e di frequentare per un paio d’anni un anziano collega. Il suo nome era Carlo, ci accomunava, oltre il lavorare nel medesimo corso, pur in materie diverse, il fatto di essere entrambi iscritti al Partito Socialista Italiano.

Ovviamente le nostre storie erano diverse: io proveniente dall’esperienza del ’68 e degli anni successivi, lui da quella ben più difficile di confinato durante gli anni ’30, a causa delle sue idee, e poi Partigiano nelle Brigate Matteotti.

Nelle “ore buche” o in attesa di consigli di classe e scrutini, avemmo l’occasione di parlare. Lui era molto interessato al momento politico che si stava vivendo, in particolare all’interno del PSI: l’avvento di Craxi, all’elezione di Pertini a Presidente della Repubblica, il governo di centro-sinistra, le lotte operaie. Io, oltre a ciò, a conoscere il suo passato: la vita al confino, se ben ricordo per 2 anni in un paesino dell’Appennino, la sua esperienza nelle file della Resistenza.

Ma non è di questo che intendo parlare, ma di alcune considerazioni da lui fatte e che mi tornano in mente in questo complicato periodo della storia del nostro Paese.

Carlo, mi disse una volta, con voce ferma quanto seria: “Sai quale è stato il nostro più grande errore dopo il 25 Aprile ? Quello di esser e stati troppo buoni, di aver pensato che dopo la guerra bisognava per forza pacificare il Paese, lasciando nel dimenticatoio molte delle responsabilità che hanno avuto i nostri nemici. A differenza del nazismo, per il fascismo non c’è stata una Norimberga, solo pochi sono stati giudicati, ancor meno quelli che hanno pagato con la vita le loro efferatezze, le loro responsabilità. Poi c’è stata anche l’amnistia di Togliatti, e tutto è finito lì.

D’accordo, c’era da ricostruire l’Italia, c’erano forti condizionamenti da parte degli Stati Uniti che paventavano l’avvicinamento dell’Italia all’URSS, forse anche un desiderio di dimenticare in fretta, ma è stato un errore gravissimo, perché i fascisti rimasero tali, o appena trasformati esteriormente, come il MSI. Le leggi contro la ricostruzione del partito fascista c’erano, Costituzione e Legge Scelba, ma applicate non completamente. E quelli, liberi, hanno avuto figli che spesso hanno educato a quella criminale ideologia.Ed i loro nipoti, ugualmente.

Vedrai, prima o poi ritorneranno, magari non più con la camicia nera, ma sempre con le stesse idee liberticide e antidemocratiche, contro le quali abbiamo combattuto e molti nostri compagni sono morti.

Il fascismo è stato un cancro, bisognava estirparlo alla radice, non lasciando viva alcuna delle sue cellule, affinché non nascessero metastasi.”

A distanza di 40 anni e più mi vengono in mente queste parole. Carlo aveva ragione: le cellule metastatiche si sono riprodotte, alcune in modo più evidente, utilizzando la simbologia e le parole del fascismo del ventennio, altre in modo più subdolo, sotto le spoglie del sovranismo, del razzismo e del suprematismo.

E contro di queste bisogna essere pronti a difendere la democrazia, la libertà, i diritti umani, esattamente come fecero nel 1943 gli uomini e le donne che diedero vita alla Resistenza.

Non bisogna aver paura di dirlo: come scrisse il Partigiano Sandro Pertini “Con i fascisti non si discute, con ogni mezzo li si combatte”.

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Una foto da leggere

Bambino con libri vs poliziotta

Spesso le foto di cronaca sono osservate per pochi secondi, giusto il tempo di aggiungere qualcosa alla notizia di un fatto accaduto. Ma molte foto se osservate nei particolari hanno il pregio di rendere comprensibile nel profondo un avvenimento o le persone in esso coinvolte.

I fatti

Ieri notte le forze di polizia, in tenuta antisommossa, ha dato inizio allo sgombero forzato di circa 340 persone, delle quali 80 minori, da uno stabile fatiscente ma occupato da anni in via Cardinal Capranica a Roma.

Come spesso accade in questi casi chi viene scacciato dal pur misero tetto in cui sopravvive da anni ed in cui ha, comunque, creato una comunità, cerca di resistere, spesso in modo passivo, a volte in modo attivo. Nel caso specifico alcuni abitanti dello stabile avevano ammucchiato masserizie per impedire l’accesso e dato alle fiamme alcuni materassi.

Nessuna violenza ai danni delle (cosiddette) forze dell’ordine, che erano ben preparati con blindati, idranti, scudi, manganelli, lacrimogeni. Alla fine queste persone, in parte italiane in parte immigrati, sono state evacuate ma solo in parte, circa 200, hanno trovato un alloggio di fortuna.

Nei servizi televisivi si sono visti questi poveretti uscire, portando con sé racchiuse in una o due valige o pacchi le loro poche cose, forse i ricordi di una vita difficile. Uscire per andare verso un futuro ancor più privo di incognite.

La foto

Una foto in particolare mi sembra degna di una lettura non superficiale; essa rappresenta un bambino di 10/12 anni dai capelli corvini e la pelle un po’ scura, forse proveniente dal Maghreb. Ha lo sguardo triste e porta con sé una busta bianca, forse dei suoi lavori scolastici, forse dei documenti e cinque libri quasi d’antiquariato.

Non so se siano libri che abbia letto o su cui abbia studiato o se li abbia trovati e siano un suo tesoretto che spera di rivendere. Ma ciò poco importa.

Davanti a lui quattro figure si ergono, una donna e tre uomini. Nessuno è in divisa, ma indossano il casco della polizia di Stato.

I tre uomini, in abbigliamento quasi balneare, hanno lo sguardo perso in avanti quasi a voler traguardare oltre, neppure degnano il bambino di una minima attenzione.

La donna, forse una funzionaria, indossa un k-way blu, il distintivo della polizia ben in vista -come dire: io sono la legge- una radio al collo e guanti neri, nel caso dovesse toccare qualche poveraccio.

Ma è il suo viso ad essere inquietante; lo sguardo torvo e di fianco, gli occhi aperti a fessura, è proprio rivolto al bambino; le labbra serrate, le pieghe agli angoli sembrano produrre due profonde rughe. Da quel viso sembra trasparire fastidio, irritazione, totale disinteresse per un essere umano in un momento di difficoltà.

Eppure sarebbe bastato poco, anche solo un sorriso o, perché no, un aiuto a portare quei pesanti libri a rendere meno difficile a quel bambino lasciare quella che è stata la sua casa per diverso tempo, magari anche il quartiere dove andava a scuola, i suoi amici.

Sarebbe bastato non espugnare manu militari l’edificio ma prima trovare il modo di ricollocare chi vi abitava, una soluzione da paese civile.

Invece stiamo assistendo ad un imbarbarimento della società, che produce disinteresse o odio per gli ultimi della società, che si racchiude in sé stessa, che chiude i porti a chi fugge da paesi in guerra, che considera diversi coloro che hanno un altro colore della pelle, una diversa religione, una diversa inclinazione sessuale.

Ma la salvezza è forse in quella foto: i libri che possono vincere l’odio, l’indifferenza, il razzismo.

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Roma Ladrona

Il Meridione e la Lega

La Lega (ex Lega Nord) nelle ultime competizioni elettorali ha ottenuto un notevole aumento di voti rispetto il recente passato, in particolare nelle regioni del sud dell’Italia.

Non ho idea di come saranno i risultati delle elezioni per il Parlamento Europeo -i seggi si chiuderanno tra poche ore- e, francamente spero non siano esaltanti per loro; tuttavia credo sia interessante ragionare sul fatto che i cittadini delle regioni del Meridione possano votare per la Lega.

E’ questo un partito che è nato con lo scopo della secessione del nord Italia, segnatamente della cosiddetta “Padania” e che solo recentemente ha modificato la sua ideologia in una sovranista e nazionalista, con connotati di vero razzismo e profondamente antieuropea

Credo che i sociologi ed i politologi nei prossimi anni riusciranno a dare una risposta scientifica a quanto è accaduto ed accade, ma a me resta un dubbio: quello che gli italiani, o la maggior parte di essi, abbia la memoria storica un po’ corta.

Sono bastati 70 anni o poco più, quindi un periodo molto breve per la storia, per far dimenticare a molti cosa sia stata la dittatura fascista, quali danni abbia causato, dalle leggi razziali alla entrata in guerra a fianco di Hitler.

Molti hanno dimenticato che gli italiani sono stati per oltre un secolo, e lo sono ancor oggi, un popolo di migranti e quali umiliazioni abbiano dovuto sopportare chi era emigrato in Svizzera, Germania, Belgio.

Parimenti molti sembrano essersi dimenticati di quanto accaduto  dal 1992 in poi con la crisi della I repubblica, con “Mani pulite” e le inchieste giudiziarie sulla corruzione a tutti i livelli, da quello centrale a quelli periferici.

E soprattutto, molti concittadini del Meridione pare abbiano dimenticato i beceri attacchi da parte di esponenti dell’allora Lega Nord e del suo fondatore Bossi nei confronti di Roma, dei meridionali accusati di essere ladri, mafiosi, sfaticati, insulti reiterati da altri esponenti leghisti, quasi fosse un mantra.

Agli slogan come “Roma Ladrona” “Forza Etna (o Vesuvio)” hanno preso il posto altri più concilianti, ad esempio “Prima gli italiani” ed altri più truci e di effetto come “Porti chiusi”, “Stop ai migranti”.

Ed allora, come spiegare il consenso ottenuto da Salvini nelle regioni del sud Italia ?

Il Meridione da sempre, e non solo per colpa dei suoi abitanti, ha vissuto in condizioni di scarsa legalità e di abbandono da parte dello Stato centrale, che ha saputo solo costruire cattedrali nel deserto, come il porto di Gioia Tauro o consentire la nascita di poli industriali fortemente inquinanti, come Taranto, Bagnoli, Priolo, Gela.

E in questa situazione da sempre si sono insinuate le varie mafie, vero cancro del Meridione e non solo.

Un partito che sposi politiche di condono edilizio, quando in quelle regioni l’abusivismo è massivo, oppure la riduzione dei controlli sugli appalti, in modo che amministratori pubblici possano più facilmente aiutare gli amici e, per finire, l’ipotesi di una “flat tax” al 15%, per altro insostenibile per le finanze dello Stato, ed, infine, stenda un velo sui livelli di inquinamento industriale sicuramente può attrarre voti interessati.

Una delle politiche più aberranti è, poi, quella di far credere a chi si trovi in una situazione di svantaggio che la causa sia di altri che vivono in una situazione peggiore palesando la possibilità che aiuti a questi ultimi siano sottratti ai primi.

E chi meglio dei migranti dai paesi del terzo mondo dove siano guerre, fame, discriminazioni religiose o politiche può interpretare meglio il ruolo di usurpatore dei diritti dei “penultimi” ?

“Ultimi” che devono, per Salvini, essere ricacciati in un paese in guerra, la Libia, dove vengono sottoposti a detenzioni crudeli ma che, in altri casi, sono utili all’economia del sud Italia, come ad esempio chi è occupato nella raccolta di pomodori, uva ed agrumi, in condizioni spesso di vero sfruttamento.

Oltre a questa politica di odio basterebbe solo ricordare gli slogan di cui ho già parlato ma, soprattutto, quanto ha scritto e detto Salvini in tempi non lontani, e di cui sotto è riportato un collage, per domandare: “Cari amici meridionali, ma siete davvero così stupidi da fidarvi di Salvini?”

Io spero di no; spero che l’obnubilamento dato dalle false promesse leghiste possa sparire, in modo che il Meridione possa davvero intraprendere un percorso di riscatto sociale, partendo dalle bellezze naturali e storiche, dalle capacità dei suo cittadini e, soprattutto, sconfiggendo definitivamente le mafie e chi le sostiene.

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Il neofascismo oggi

Alcuni fatti preoccupanti sono avvenuti nei giorni scorsi: Il primo è avvenuto una decina di giorni fa a Salerno, nei pressi di una piazza ove doveva tenere un comizio il ministro leader della Lega (Nord ?) Salvini. Dai balconi di una casa è stato esposto da alcuni ragazzi uno striscione rosso che riportava un verso della celebre canzone di Pino Daniele ‘O scarrafone, scritta nel 1991, “Questa lega è una vergogna“.

 

Lo striscione di Salerno

Una semplice frase di dissenso politico, non certo un insulto. Ciò nonostante alcuni agenti della Digos sono entrati nella casa ed hanno rimosso lo striscione sotto lo sguardo impaurito della anziana proprietaria dell’appartamento.

Qualche giorno dopo, a Brembate, in provincia di Bergamo, altri giovani hanno appeso a due finestre un lenzuolo con la scritta “Non sei il benvenuto“. Anche in questo caso, dovendosi tenere lì vicino un comizio dell’onnipresente Salvini, altri agenti della Digos hanno fatto intervenire i vigili del fuoco che, utilizzando una gru a cestello, hanno levato lo striscione.

Proteste da parte dei dissidenti, ma anche dei rappresentanti sindacali dei vigili del fuoco che hanno sottolineato che la rimozione non rientra nei loro compiti, non essendoci una situazione di pericolo.

Solo dopo qualche giorno il questore di Bergamo ha chiarito che la rimozione del lenzuolo/striscione è avvenuta solo per precauzione, per impedire che la scritta potesse creare risentimenti da parte dei leghisti accorsi (sempre meno) al comizio.

Il lenzuolo-striscione di Brembate

Le domande che mi sento di fare e che giro al questore di Bergamo ed al Capo della Polizia Gabrielli, anche se difficilmente leggeranno, è questo: Chi ha deciso che la scritta potesse essere causa di risentimenti, quando nemmeno c’era scritto chi non fosse benvenuto ? Poteva essere indirizzata al maltempo, alla suocera, alla parietaria ? Perchè immaginarla destinata a Salvini ? Forse troppa accondiscendenza nei confronti del proprio ministro ?

E poi, perchè ogni critica o civile contestazione nei confronti del leader leghista è subito repressa, sia anche semplicemente un fischio o cantare “Bella ciao“, mentre a Verona a fine marzo un leghista ha minacciato ed insultato una poliziotta e non è stato nemmeno fermato ? O perchè striscioni di organizzazioni nazifasciste come CasaPound o Forza nuova insultanti Papa Francesco in via della Conciliazione sono stati tollerati ? Per non dire di quelle ridicole commemorazioni in orbace e con saluti romani presso la tomba del criminale Mussolini, fatti che, comunque, configurano il reato di apologia del fascismo ed i cui responsabili mai sono fermati e denunciati dai prodi agenti della Digos ?

Ma veniamo al fatto più grave. Una docente di Lettere dell’ITIS Vittorio Emanuele III, in Palermo, (a proposito: ma esistono ancora scuole intitolate al secondo criminale che firmò le leggi razziali e che scappò vigliaccamente da Roma ?) nell’ambito delle attività per la Giornata della Memoria fece fare ad una delle sue classi, se non erro una prima, una ricerca sulle leggi razziali del 1938. La ricerca, svolta in autonomia e solo con la supervisione della docente si completò in una presentazione. In tale presentazione una slide, qui riportata, metteva a confronto le leggi razziali del 1938 con il “decreto sicurezza” del governo attuale.

La slide incriminata

Non risulta che vi fossero esplicite accuse di fascismo per gli attuali governanti, in particolare per Salvini; tuttavia in un account social legato al mondo neofascista è stata riportata la notizia e subito esponenti leghisti sono insorti chiedendo al ministro dell’Istruzione di intervenire. Alla fine di una veloce inchiesta l’Ufficio scolastico provinciale ha sanzionato la docente per “Omessa vigilanza degli alunni” con la sospensione per 15 giorni.

Per prima cosa vorrei dichiarare la mia totale solidarietà alla Collega ed ai suoi alunni e la più completa disapprovazione a quanto deciso dal MIUR.

La mia solidarietà in quanto non vedo nulla di male confrontare le leggi razziali del 1938 con il “decreto sicurezza” e con quello che sta per essere proposto, per evidenziarne le differenze ma anche le simili connotazioni razziste.

Se le leggi del 1938 erano indirizzate agli Ebrei, espellendoli dalle scuole, dalle università e dalle professioni liberali, ponendo le basi per quello che accadde pochi anni dopo con le deportazioni, i decreti attuali hanno come obiettivo colpire esseri umani provenienti da paesi in guerra, ove vi siano discriminazioni religiose o, semplicemente, la fame, ostacolando ogni possibile inserimento nel tessuto sociale, bloccando le iniziative di salvataggio in mare, contro ogni legge del mare e ogni sentimento di umanità.

L’articolo 33 della Costituzione ha nel suo incipit: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.” Ne consegue che la docente di Palermo aveva ed ha tutto il diritto di insegnare, in modo assolutamente libero, cosa fossero le leggi razziali ed anche di raffrontarle con altre leggi o decreti dei giorni nostri. Un raffronto non prevede che vi sia uguaglianza totale, ma, appunto, vedere se vi siano delle correlazioni o delle differenze.

Non risulta che la collega abbia cercato di inculcare nei suoi alunni le proprie idee, tanto è vero che la sanzione è per “omessa vigilanza degli studenti”. In pratica le si dice: “Doveva stare attenta che nessun alunno criticasse Salvini“.

Quanto accaduto è davvero scandaloso: la frazione leghista del governo sta cercando in tutti i modi di silenziare le critiche e le contestazioni che, invece, stanno montando sempre più. Vorrebbero nella scuola il ritorno ai “balilla”, al “pensiero unico: Dio, Patria, Famiglia”, al negazionismo sugli orrori del nazifascismo e al minimizzare l’importanza della Resistenza nella liberazione dell’Italia.

Non ho alcuna intenzione nel nascondere la mia completa avversione a Salvini, che giudico razzista, anti-democratico, anti-europeista, sovranista, cinico, misogino, omofobico e odiatore seriale; e queste, per me, sono le caratteristiche di un fascista. Forse un fascista diverso da quelli delll’avvento della dittatura o da quelli repubblichini, ma non di meno pericoloso per la democrazia.

Quindi ben venga chi lo contesta in modo non violento, chi ne metta in evidenza le malefatte (vedi ad esempio l’uso indiscriminato di mezzi della polizia per recarsi a comizi di partito), sperando che questa forma di Resistenza sia sufficiente.

Se ciò non dovesse essere sufficiente, bisognerà ripercorrere le strade dei nostri padri o nonni che seppero con indomito coraggio e senza pensare alle conseguenze, lottare fino alla vittoria finale contro i nazisti ed i fascisti.

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Roberto Saviano

#IoStoConSaviano

Roberto Saviano è stato denunciato dal ministro Salvini per averlo definito “Ministro di Mala Vita”. Lo stesso Salvini oggi si è sottratto, con un voto politico del Senato, al giudizio di un magistrato per i reati di cui è stato denunciato in relazione al caso della nave Diciotti.

Da un lato un ministro terrorizzato dall’idea di poter essere processato e condannato si fa assolvere politicamente dai suoi compari, evitando quindi di comparire davanti al suo giudice naturale, come vorrebbe la Costituzione.

Dall’altro lato uno scrittore, fortemente critico nei confronti di questo governo ed in particolare della politica razzista e sovranista di Salvini, accetta di essere giudicato per una denuncia fatta non dal ministro in quanto persona ma su carta intestata del ministero.

Di fronte allo squallore umano (se di fattore umano si può parlare, aggettivo quanto mai inopportuno per il ministro) non esiste che una sola scelta: #IoStoConSaviano.

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