Spesso le foto di cronaca sono osservate per pochi secondi, giusto il tempo di aggiungere qualcosa alla notizia di un fatto accaduto. Ma molte foto se osservate nei particolari hanno il pregio di rendere comprensibile nel profondo un avvenimento o le persone in esso coinvolte.
I fatti
Ieri notte le forze di polizia, in tenuta antisommossa, ha dato inizio allo sgombero forzato di circa 340 persone, delle quali 80 minori, da uno stabile fatiscente ma occupato da anni in via Cardinal Capranica a Roma.
Come spesso accade in questi casi chi viene scacciato dal pur misero tetto in cui sopravvive da anni ed in cui ha, comunque, creato una comunità, cerca di resistere, spesso in modo passivo, a volte in modo attivo. Nel caso specifico alcuni abitanti dello stabile avevano ammucchiato masserizie per impedire l’accesso e dato alle fiamme alcuni materassi.
Nessuna violenza ai danni delle (cosiddette) forze dell’ordine, che erano ben preparati con blindati, idranti, scudi, manganelli, lacrimogeni. Alla fine queste persone, in parte italiane in parte immigrati, sono state evacuate ma solo in parte, circa 200, hanno trovato un alloggio di fortuna.
Nei servizi televisivi si sono visti questi poveretti uscire, portando con sé racchiuse in una o due valige o pacchi le loro poche cose, forse i ricordi di una vita difficile. Uscire per andare verso un futuro ancor più privo di incognite.
La foto
Una foto in particolare mi sembra degna di una lettura non superficiale; essa rappresenta un bambino di 10/12 anni dai capelli corvini e la pelle un po’ scura, forse proveniente dal Maghreb. Ha lo sguardo triste e porta con sé una busta bianca, forse dei suoi lavori scolastici, forse dei documenti e cinque libri quasi d’antiquariato.
Non so se siano libri che abbia letto o su cui abbia studiato o se li abbia trovati e siano un suo tesoretto che spera di rivendere. Ma ciò poco importa.
Davanti a lui quattro figure si ergono, una donna e tre uomini. Nessuno è in divisa, ma indossano il casco della polizia di Stato.
I tre uomini, in abbigliamento quasi balneare, hanno lo sguardo perso in avanti quasi a voler traguardare oltre, neppure degnano il bambino di una minima attenzione.
La donna, forse una funzionaria, indossa un k-way blu, il distintivo della polizia ben in vista -come dire: io sono la legge- una radio al collo e guanti neri, nel caso dovesse toccare qualche poveraccio.
Ma è il suo viso ad essere inquietante; lo sguardo torvo e di fianco, gli occhi aperti a fessura, è proprio rivolto al bambino; le labbra serrate, le pieghe agli angoli sembrano produrre due profonde rughe. Da quel viso sembra trasparire fastidio, irritazione, totale disinteresse per un essere umano in un momento di difficoltà.
Eppure sarebbe bastato poco, anche solo un sorriso o, perché no, un aiuto a portare quei pesanti libri a rendere meno difficile a quel bambino lasciare quella che è stata la sua casa per diverso tempo, magari anche il quartiere dove andava a scuola, i suoi amici.
Sarebbe bastato non espugnare manu militari l’edificio ma prima trovare il modo di ricollocare chi vi abitava, una soluzione da paese civile.
Invece stiamo assistendo ad un imbarbarimento della società, che produce disinteresse o odio per gli ultimi della società, che si racchiude in sé stessa, che chiude i porti a chi fugge da paesi in guerra, che considera diversi coloro che hanno un altro colore della pelle, una diversa religione, una diversa inclinazione sessuale.
Ma la salvezza è forse in quella foto: i libri che possono vincere l’odio, l’indifferenza, il razzismo.