I negazionisti

Oggi a Roma qualche centinaio di negazionisti, no-vax, nazifascisti e simili ha protestato contro i provvedimenti sanitari imposti dalla pandemia di Coronavirus. In particolare si sono scagliati contro le mascherine e il distanziamento sociale.

Alcuni partecipanti intervistati hanno sostenuto che il virus non esiste, che non ci sono stati 36000 morti in Italia, che è tutta colpa dei “poteri” che con la scusa dei vaccini inoculeranno in tutti dei microchip che potranno controllare le menti dei cittadini.

Basterebbero queste affermazioni per squalificarli, per rendersi conto che sono solo degli ignoranti, ma il problema è che potrebbero anche essere un pericolo per gli altri nel caso si infettassero loro per non aver rispettato le regole sanitarie.

Certo finchè il Covid colpisse loro non sarebbe un guaio, anzi, per dirla con Darwin, sarebbe una corretta selezione naturale, ma se si ammalassero finirebbero per intasare gli ospedali, e costare alla collettività solo per la loro becera ignoranza.

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Pandemia e scuola

Il coronavirus e la scuola

La pandemia da coronavirus scoppiata in questo anno 2020 oltre al più tragico degli effetti, quello delle persone infette e, soprattutto, decedute ha avuto effetti devastanti nel tessuto economico e sociale del nostro e di altri Paesi.

Uno degli effetti dirompenti, che non ha paragoni se non in tempi di guerra, è stato quello che hai interessato il sistema educativo italiano. Per evitare il diffondersi dei contagi sono state giustamente sospese le lezioni in tutte le scuole, da quelle dell’infanzia alle superiori e nelle università.

Per quanto possibile e, fortunatamente in un numero elevato di casi, sono state attivate forme di didattica a distanza (DAD).

Tuttavia in molti social network si lamentano diversi problemi, partendo da quelli più banali, ovvero la mancanza di strumenti idonei, computer, tablet o smartphone, le connessioni lente o difficili, la molteplicità di piattaforme di e-learning utilizzate e, last but not least, la scarsa preparazione da parte di molti docenti al loro utilizzo.

Certo, la situazione che si è generata non era immaginabile fino a 5 o 6 mesi fa, ed ora la corsa ad attuare una didattica a distanza efficace in molti casi sta mostrando delle criticità. D’altra parte questo è quanto accade quando si deve rimediare ad una situazione di pericolo o disagio che non si è voluta prevedere e prevenire in tempo.

La DAD o e-learning (o FAD, formazione a distanza, specie per i docenti) non nasce certo oggi, ma ha origini abbastanza lontane; ad esempio la piattaforma Moodle, una delle migliori di pubblico dominio, origina nel 2002 e lo scrivente ne fece un utilizzo molto limitato in un corso di formazione per docenti in cui era tutor, intorno all’anno 2005. In seguito provai anche a coinvolgere i colleghi d’Istituto al suo utilizzo ma con scarsi risultati, in quanto la maggior parte di essi riteneva la costruzione di un corso online e la sua gestione come un attività aggiuntiva non essenziale e, soprattutto, non retribuita.

Negli ultimi 5/6 anni con l’utilizzo quasi generalizzato dei registri elettronici ha portato le ditte che li propongono ad implementare delle piattaforme di e-learning molto semplificate che, però, sono più dei depositi di file con lezioni che delle vere applicazioni che consentano l’interazione docente-alunno.

Le grosse società informatiche come Google e Microsoft hanno, a loro volta, messe a disposizione delle piattaforme gratuite che sembrano essere molto più funzionali. Mi riferisco a Gsuite per le scuole di Google e a Teams di Microsoft.

Al di là del contingente, la DAD o e-learning può avere un futuro importante nel sistema educativo italiano ?

La risposta non può essere che Sì, pur tenendo conto delle ovvie differenze che intercorrono tra la scuola dell’infanzia, la primaria e le superiori, nelle quali gli obiettivi e gli strumenti non possono che essere diversi.

Altrettanto vero è che la DAD non può in alcun modo sostituirsi in toto alla didattica in classe, in quanto gli elementi distintivi di questa sono l’appartenenza ad un gruppo, il rapporto interpersonale, la comunicazione, la socialità.

Le difficoltà della didattica a distanza

Ma quali sono le difficoltà a cui la DAD può andare incontro ? Lo scrivo con una punta di amarezza, da docente in pensione, ma la prima difficoltà è data dalla mentalità di molti docenti, specie quelli di età avanzata, a misurarsi con una innovazione che comporta anche studio, esercitazione, cambiamento del modo di intendere la didattica.

La seconda è la mancanza di una piattaforma di e-learning unica per il sistema scolastico, almeno a livello di gradi scolastici. Capita infatti che per la mobilità dei docenti uno che abbia sempre utilizzato la piattaforma XY venga trasferito, magari solo per un anno, in una istituzione scolastica che utilizzi la piattaforma WZ. Il poveretto si troverebbe a doverla imparare ex-novo e, magari, a non poter utilizzare dei materiali didattici preparati per la vecchia piattaforma.

La terza difficoltà è quella della mancanza di strumenti informatici per tutti i docenti e discenti. Per i docenti il “bonus” di €.500 annui può aver ottimamente facilitato l’acquisto di computer o tablet, ma, ad esempio, non consentiva l’acquisto di accessori che sarebbero potuti essere utili nella preparazione di lezioni. Penso a stampanti/scanner, fotocamere o telecamere digitali, router, etc.

Per gli alunni, a parte un finanziamento legato alla contingenza della pandemia, non è mai stata offerta la possibilità di poter acquistare strumenti informatici o di averne, tranne meritevoli isolati casi, in comodato d’uso.

Quarta difficoltà, la differente qualità della connessione Internet in carie parti dell’Italia. Mentre nelle grandi città, specie nelle zone centrali e residenziali, non mancano le offerte di connessione in fibra ottica o, quanto meno, in ADSL, in zone periferiche o in piccoli paesi il digital divide è ancora presente e, in alcune sfortunate zone, tale da non consentire neppure una connessione lenta. Superare il digital divide dovrebbe essere uno dei compiti principali dello Stato, utilizzando, quando non sia possibile il cablaggio, anche le connessioni wireless o satellitari.

L’esame di Stato

Al momento è chiara solo una cosa: le commissioni per l’esame di Stato conclusivo della scuola di II grado saranno composte da sei docenti della classe e da un presidente esterno. Se si rientrerà a scuola entro il 18 maggio l’esame sarà costituito da una prova scritta d’italiano nazionale, una seconda prova scritta di indirizzo predisposta dalla commissione e da un colloquio multidisciplinare. Nel caso non sia possibile rientrare a scuola entro tale data, l’esame verterà su un unico colloquio su tutte le discipline del curriculo. In entrambi i casi tutti i candidati saranno ammessi all’esame.

Senza dubbio l’idea di una commissione fatta di soli docenti interni è condivisibile, mentre l’ipotesi di un esame solo orale sembra un po’ troppo semplicistica. A mio avviso dovrebbero essere posti dei paletti, definendo ad esempio le modalità di conduzione del colloquio, lo spazio da dare anche con brevi parti scritte e/o scrittografiche alle materie di indirizzo. Tutto ciò si scontra con la previsione, fatta da molti, di una durata di un’ora circa del colloquio. La mia esperienza pluriennale di presidente di commissione mi fa convinto (alla Montalbano) che un’ora sia un tempo troppo stretto; un tempo più congruo potrebbe essere quello di 1 ora e 30 minuti, anche 2 ore, magari convocando in una mattinata non più di 3 candidati.

Lo dico non per cattiveria, ma solo per cautela nei confronti dei candidati. Essi, infatti, corrono il rischio di uno stigma da portarsi dietro nella vita futura: quello di essersi diplomati l’anno in cui tutti erano stati ammessi e l’esame fatto da una sola prova breve. Per questo il Ministero dovrebbe definire delle linee guida sulla conduzione del colloquio che non lascino spazio a interpretazioni di comodo, in particolare definendo i tempi minimi della durata, il fatto che nel colloquio possano essere effettuate brevi prove scritte, ad esempio una traduzione, un disegno, un esercizio di matematica, e che lo stesso si svolga su tutte le materie del curriculo, quando nella commissione vi siano le competenze.

Il nuovo anno scolastico

Si parla già di come riprendere la scuola a settembre. Ciò nella speranza che la pandemia cessi o si riduca di molto. Tutti gli esperti epidemiologi ritengono che, comunque, il distanziamento sociale dovrà perdurare fino a che non sarà attiva l’immunità di gregge e disponibile un vaccino.

Questa necessità è molto difficile da attuare. Mi viene da pensare a come organizzare le attività delle scuole dell’infanzia, dove il gioco e l’interazione con i pari è alla base del processo educativo; come si potrebbe pensare ad un distanziamento ? Francamente non lo so.

E neppure saprei come risolvere l’identico problema nella scuola secondaria. La maggior parte delle aule delle scuole italiane non supera i 40/45 m2 di superficie e molte classi, specie nei bienni delle secondarie di II grado, sono composte da 25/30 alunni, a volte anche di più. Considerando un distanziamento di 1 metro nei confronti di altro alunno, i passaggi e la presenza del docente, spesso di più docenti (ITP, sostegno), in un’aula di 40 m2 non potrebbero starci più di 12/14 alunni. Ciò comporterebbe la suddivisione delle classi numerose in due, a volte tre classi; di conseguenza un orario su doppi turni e la necessità di disporre di un numero molto elevato di docenti e personale ATA.

Data l’impossibiltà oggettiva di costruire nuove scuole in 4/6 mesi, di attivare ovunque doppi turni, l’unica soluzione praticabile è quella di attuare una didattica in modalità blended, coniugando quella a distanza a quella in presenza a gruppi, ovviamente col distanziamento dovuto, ampliando l’apertura della scuola al pomeriggio e, se possibile, anche alla prima serata. Ciò comporterebbe la necessità di disporre di un numero maggiore di docenti, ma non così grande come nel caso di suddivisione delle classi numerose.

Spero che qualcuno più competente di me al Ministero stia già valutando le ipotesi per risolvere questo problema, anche se temo che si aspetti per vedere se il Covid-19 sparisca per conto suo.

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Luis Sepulveda

Luis Sepúlveda Calfucura 1949-2020

Il virus maledetto, che da mesi affligge il mondo intero e, con intensità, l’Europa, si è portato via uno dei più grandi autori della letteratura latino-americana.

Luis Sepúlveda Calfucura con Gabriel García Márquez è stato, senza dubbio, uno dei più famosi scrittori della seconda parte del ‘900 e dei primi anni del XXI secolo.

Sepúlveda, è stato un animo inquieto: studente comunista, borsista in una università russa (da cui fu cacciato per le critiche espresse sul sistema sovietico), quindi rientrato in Sud America, si legò a organizzazioni guerrigliere della Colombia; poi alla fine degli anni ’60 rintrato in Cile, iscritto al Partito Socialista.

Fu con Salvador Allende, Presidente del Cile dal 1970, a difendere il palazzo presidenziale de La Moneda l’11 settembre 1973 dall’attacco dei militari golpisti di Pinochet.

Per questa sua vicinanza ad Allende fu arrestato, imprigionato, torturato e condannato all’ergastolo che, solo per la sua notorietà e per le pressioni da parte di molti paesi, riuscì ad evitare con 3 anni di carcere e l’esilio.

Il suo spirito rivoluzionario lo portò, rinunciando ad un comodo esilio in Svezia, da cui aveva ottenuto asilo politico, ad unirsi in Nicaragua alle Brigate internazionali che appoggiavano il Fronte Sandinista nella vittoriosa lotta contro il dittatore Somoza.

Riparato, successivamente, in Germania, Francia  epoi in Spagna, continuò la sua produzione letteraria, con romanzi e poesie, la maggior parte delle quali ambientate o legate all’America Latina.

Personaggio eclettico, con interessi ambientalisti, legato a Greenpeace, parlava correntemente diverse lingue, grande affabulatore sempre disponibile al dialogo con i suoi lettori che incontrava nei suoi numerosi viaggi per il mondo.

A febbraio, di ritorno da alcune conferenze in Portogallo, accusò i sintomi del Covid-19. Ricoverato in ospedale in Spagna disse alla moglie che il sangue mapuche di origine materna era forte e lo avrebbe aiutato a superare l’infezione. Sembrava quasi avercela fatta, la stessa moglie era stata dimessa, ma il virus maledetto non ha perdonato.

Aveva ancora molto da dire e da scrivere, in particolare un romanzo ambientalista, invece non sarà così.

Resta nella storia dell’America latina e, come ha scritto qualcuno: “Sepulveda ha scritto cose belle, ma le migliori le ha fatte”.

Ha chiesto di riposare in Patagonia, non nella sua terra di origine (il nord del Cile), ma in quella che chiamava “La terra alla fine del mondo” e che sentiva propria.

 

 

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