Piazza del Portello: il garage della vergogna

Piazza del Portello è una piazza della Genova ottocentesca creata abbattendo le mura medievali, per le quali era presente un “portello” per accedere alla città, e creare due gallerie, dapprima tramviarie, così da congiungere facilmente due parti della città.

La piazza non ha particolari aspetti architettonici tali da qualificarla come una delle più belle della città, ma è piuttosto un largo spazio di transito posta tra la Galleria Nino Bixio, dal lato di Levante, e la Galleria Giuseppe Garibaldi a Ponente.

Sul lato verso Via Garibaldi, un tempo nota come “Strada Nuova“, Piazza del Portello definisce il retro di tre importanti palazzi nobiliari, accreditati al Sistema dei Rolli: Il Palazzo Lercari Parodi, il Palazzo Angelo Giovanni Spinola e, sul terrapieno che sovrasta l’ingresso della Galleria Garibaldi, il giardino del Palazzo Nicolosio Lomellino, con un “Mirador” che ricorda un minareto.

Dall’altro lato, quello a monte, sorgono dei palazzi ottocenteschi e sono degni di interesse due dei sistemi di trasporto pubblico verticale della città: la Funicolare di Sant’Anna ed l’ascensore di Castelletto Levante.

Al centro della piazza dal secondo dopoguerra era presente un sottopassaggio che univa le due parti. In esso erano presenti alcuni negozi, un calzolaio, una profumeria ed un piccolo negozio di abbigliamento. Negli ultimi anni del ‘900 a seguito di forti piogge, il sottopassaggio fu danneggiato e, quindi, abbandonato prima dai negozi poi, per evitare pericoli, fu chiuso e il passaggio tra i due lati della piazza lasciato ad un attraversamento semaforico.

In anni recenti l’amministrazione comunale del sindaco Bucci deliberò di affidare i diritti del sottosuolo ad un costruttore suo sostenitore e costui presentò un progetto per la realizzazione di 29 posti auto, con due rampe, una di entrata ed una di uscita, costruite sottraendo parte dei marciapiedi e delle corsia stradali.

E’ notizia di pochi mesi fa che un nobile abitante nei pressi ha intentato una azione legale in quanto, egli sostiene, la maggior parte dei posti auto sono stati acquistati da una sola persona, per altro non abitante nei pressi, mentre dovevano essere considerati pertinenziali.

Ora i lavori sono quasi conclusi, ma l’aspetto della piazza rispetto la precedente situazione è notevolmente peggiorata.

Come detto nel lato a monte della piazza vi è l’uscita della breve galleria che condice all’ascensore Castelletto Levante. Esso è considerato uno dei più belli d’Italia, costruito ai nei primi anni del ‘900 in stile Liberty ed usato, oltre che da genovesi,anche da migliaia di turisti che salgono dal centro storico per arrivare al belvedere di Castelletto e ritornare in centro città.

I turisti salendo o scendendo con l’ascensore si trovano a passare da cabine con bellissimo rivestimento in legno‌ e finiture in ottone, poi per una galleria con alle pareti alcuni bassorilievi in ardesia, quindi escono o entrano da una porta in legno e vetro e si ritrovano a passare a fianco della rampa di accesso al garage, e già non possono che notare sia la bruttezza della ringhiera, nemmeno dignitosa per una porcillaia, sia la pavimentazione fatta di basoli in arenaria ottocenteschi, quelli tolti all’inizio dei lavori, poi da orribili pietre rettangolari “Made in China” ed infine dei basoli lisci, del tutto diversi dai primi.

Non ci vuole un esperto per notare quanto sia osceno l’utilizzo di tre tipologie di pietre in pochi metri, ed anche il fatto che quelle lasciate allo stato originario sono state posate da operai esperti “a secco”, lasciando meno di un centimetro tra una pietra e la contigua. I basoli rimossi sono stati posati “ad mentula canis”, utilizzando cemento o calce adesiva nelle fughe, così da lasciare un margine di colore bianco davvero orribile.

Infine un pedone, sia esso genovese o “foresto” dovrà attraversare la piazza al semaforo, e non potrà che notare la colata di conglomerato bituminoso all’ingresso della rampa del garage, colata che è andata a coprire sia dei basoli, sia i percorsi per non vedenti.

L’alternanza basoli storici e pietracce “cinesi” è evidente anche nel lato a mare della piazza, dove si erge il famoso cubotto dell’ascensore, ora dotato anche di una pensilina/tettoia stile Leroy Marlin, in attesa di miglioramenti. Almeno così sembra.

Il Comune è senz’altro connivente e corresponsabile di questo oltraggio alla città e nulla fa o dice e la Giunta comunale esegue silente gli ordini del “podestà“. il Municipio Centro Est è latitante, il Presidente del Municipio Carratù se ne guarda bene da contestare i lavori fatti, giova ricordarlo da un costruttore che più volte si è dimostrato sodale di Attila …. pardon, di Bucci, il peggior reggitore della cosa pubblica dal tempo dei Dogi.

Resterebbe la ma la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Genova ma essa tace: forse i suoi architetti non passano mai da lì, oppure chiudono gli occhi o hanno un diverso concetto di bello.

Speriamo ci sia un “Giudice a Genova” che indaghi su questo sconcio, vero oltraggio alla città ed ai cittadini.

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Fabrizio De Andrè

25 anni senza Fabrizio De Andrè

L’ 11 gennaio di 25 anni Fabrizio De Andrè se ne andò. Ricordo ancora quella mattinata del 1999 quando, a scuola, in un momento libero lessi la notizia su un giornale online.

Notizia, almeno per me, giunta come un fulmine a ciel sereno, non sapendo che da tempo Fabrizio stava lottando e, purtroppo, soccombendo al male.

E subito mi riportarono alla mente le sue canzoni più famose, a partire da “Il testamento” che, adolescente e alla metà degli anni ’60 o poco più, sentivo ripetutamente in un juke-box di un bar dell’entroterra genovese.

Una canzone che molti miei coetanei non apprezzavano, forse non capivano, qualche ragazza allora arrossiva al sentire “la rendita di una puttana“, ma che per me era la rappresentazione del mondo di Fabrizio, il mondo degli ultimi, degli esclusi.

A volte con le 100 lire sceglievo tre volte questa canzone, oppure una volta il lato B, la “Ballata del Michè“.

Poi altre canzoni, da “La città vecchia“, a “Bocca di rosa“, “Carlo Martello“, “La ballate del Michè” già citata, passando per la famosissima “Canzone di Marinella“.

Bocca di rosa” fu anche al centro di una invenzione con i miei compagni di classe al Liceo classico Colombo, in quanto la traducemmo in latino, strofa per strofa. Ne ricordo ancora alcune, forse con errori grammaticali: “Via Agri est quendam virgo, labiae rubri coloratae, oculi grandes quam strada, nascuntur flores ubicumque iter facit.” (mi scuso per eventuali errori,ma è passato più di mezzo secolo…)

Qualche anno dopo ebbi l’occasione di incontrare Fabrizio per una strana coincidenza. Come spesso accadeva in quegli anni, i primi anni ’70, i ragazzi spesso si incontravano alla sera per partite di calcio in piazze della città. Con alcuni amici fui invitato nella zona di Carignano dove d’estate si sfidavano diverse squadre provenienti dai vari quartieri del centro

Una ventina di coetanei e qualche giovane con una manciata di anni di più. Uno di quelli era Fabrizio, forse accompagnava qualcuno, in quanto non ricordo che giocasse, e ma lo osservai costantemente con la sigaretta in bocca, pensoso, quasi estraniato e ricordo di aver detto ad un amico che era esattamente come nella foto di questa copertina.

Negli anni successivi, ne seguii la strada verso il successo, ascoltando non più al juke-box ma su dischi o musicassette tutte le storie raccontate da Fabrizio, senza perderne mai alcuna.

Rimasi turbato quando seppi del rapimento in Sardegna, sentendomi un po’ colpevole, in quanto traggo le mie origini, da parte paterna, proprio da quella zona, Tempio Pausania. Una esperienza lunga, dura e difficile per lui e per Dori Ghezzi, ma dalla quale uscì senza odiare i rapitori e quasi giustificando e provando pietà per quei pastori anch’essi parte del mondo degli ultimi. Dopo 117 giorni, il 21 dicembre 1979, furono rilasciati ed ebbe a dire ” Noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai“.

E’ stato grande, forse il più grande autore della seconda metà del ‘900, e il mio più grande rammarico, da ex-docente, è che di lui ve ne è solo piccola traccia nei testi di letteratura del ‘900 e, cosa ancor più grave, quasi sempre non trattato per “mancanza di tempo”.

Ciao Fabrizio.

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Fast Tourism a Genova

C’è il fast food, ovvero mangiare un piatto o un panino veloce. c’è il fast sex, quello “da una botta e via” per dirla con Fabrizio De Andrè, ma c’è anche il fast tourism, ovvero il turismo veloce. Ovviamente questo tipo di turismo è più praticato nei viaggi organizzati, nelle escursioni di gruppo ma anche come optional nelle crociere.

Spesso, frequentando la zona di Castelletto, mi sono chiesto quanto fosse davvero “fast” questo turismo. In altre parole, quanto di Genova e delle sue meraviglie resti a chi lo pratica. Beh il modo migliore è quello di osservare un gruppo di turisti, meglio se stranieri, nella sosta che compiono lì a Castelletto nel giro panoramico della città.

Lo schema è sempre lo stesso: i pullman arrivano in Piazza Villa, cercano un posto dove stazionare, di solito sulla fermata del bus 36; lì scendono cercando di non allontanarsi dal gruppo (non per nulla le guide hanno un cartello o semplicemente un ombrellino per farsi riconoscere), e velocemente si portano al Belvedere Montaldo. Lì la guida, nella lingua dei turisti, spiega in poche parole cosa possono vedere, di solito la Lanterna, il Porto, i tetti del Centro storico, niente di più.

Sono ben pochi i turisti che prestono attenzione; infatti la maggior parte si fa dei selfie con il/la proprio/a compagna, qualcuno si fa fotografare davanti al portone del palazzo chè c’è sul belvedere (bello, invidia per chi ci abita, ma di nessun pregio storico), altri, più intelligenti, si fanno fotografare davanti all’ascensore di levante, pur non capendo che è proprio un ascensore.

Pochi minuti e la guida alza il suo vessillo e tutti di corsa o quasi ritornano al pullman.

Stamattina è arrivato in Piazza Villa un pullman, ne sono discese una quarantina di turisti, alcuni di lingua inglese, altri spagnola. Erano le 11.00, come da foto.

Si sono diretti al Belvedere Montaldo, mettendoci circa 5 minuti (c’era anche un turista in carrozzina), io sono rimasto a prendere un po’ di fresco su una panchina e dopo 18 minuti, alle 11.18 come da foto, ecco ritornare la frotta e salire sul pullman che è velocemente ripartito.

Quindi se ai 18 minuti totali ne togliamo più o meno 10, vediamo che il panorama di Genova, da uno dei suoi punti più belli, è durato la bellezzadi 8 (otto) minuti. Insomma, una “sveltina” culturale…

A questo punto mi viene da pensare che l’interesse culturale, storico, architettonico della nostra città per questa tipologia di turisti, ahimè la più frequente, è molto vicino allo zero.

Possiamo domandarci: “Ma serve alla città il turismo croceristico ?” Personalmente io credo che quello sopra visto non serva a nulla: i croceristi di quel tipo, i mordi e fuggi, non spendono un centesimo in città, in quanto le visite guidate sono gestite dalla compagnia di navigazione, si portano  le bottigliette d’acqua, non comprano nulla, non entrano in un bar, niente. A questo punto non sarebbe meglio portarli in altri posti, ad esempio l’Outlet di Serravalle o, se il tempo è poco, l’Ipercoop o la Fiumara ? Ne guadagnerebbe il commercio, e ne guadagnerebbero in salute gli abitanti della Circonvallazione a Monte, non essendoci più il traffico dei pullmann turistici.

Per finire, ecco le foto di un gruppo di turisti la maggior parte dei quali nemmeno si gira per vedere il panorama.

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E’ vietato proibire…è proibito vietare

Lustrissimo signor Sindaco.

vengo io con questa mia addirvi (una parola) che non sono per nulla d’accordo con la sua recente grida nella quale si vieta ai cittadini di consumare, in certe ore ed in certi luoghi, bevande alcooliche. In aggiunta è pure vietato sostare magari appoggiato ad un muretto a meno che non sia uno spazio all’uopo approntato dal Comune.

Partiamo dal primo divieto: Ella vieta tassativamente, con alcune differenze tra una parte ed altre della città, di consumare bevande alcooliche, anzi di detenerle, a meno che la somministrazione non sia fatta in un dehor di qualche esercizio commerciale.

Se ben ricordo Ella è un farmacista, per cui certamente avrà ben presente il metabolismo dell’etanolo, dove e come esso avviene, quali siano gli effetti che produce in base alle quantità ingerite e metabolizzate (euforia, eccitazione quando la quantità ingerita non è elevata, ma anche depressione, narcosi quando è elevata).

Ella non può che confermare quanto sopra, tenendo conto che da decenni la biochimica ha studiato e definito con certezza scientifica i meccanismi che intervengono nel metabolismo dell’etanolo.

In nessun caso, pur avendo ripetutamente rivisto all’uopo le mie conoscenze di biochimica, ho letto di una differenza tra il metabolismo alcoolico di bevande acquistate al supermercato e consumate su una spiaggia, su una panchina (quando se ne trova una non rotta), o di sera al Righi rimirando le stelle e quello, il metabolismo, di bevande assunte in un dehor.

E’ passato quasi mezzo secolo da quando seguivo le interessanti lezioni del prof. Pontremoli, eminente biochimico ed in seguito Rettore magnifico dell’Università di Genova, quindi forse mi sono perso qualcosa e lei potrebbe illuminarmi.

Forse i dehors hanno delle capacità di modificare il metabolismo ? Forse detti dehors hanno la capacità, per a me ignoti motivi, di aumentare l’azione delle deidrogenasi, quella alcoolica e quella aldeidica ?

Reminder:

Metabolismo Etanolo
Schema del metabolismo dell’etanolo

Dato che non credo al fatto che i dehors possano quanto sopra, mi viene da pensare che forse è tutto un meccanismo un po’ subdolo per favorire i ristoratori che peraltro, se non erro, utilizzano gratuitamente spazi pubblici nonostante le limitazioni imposte dalla pandemia Covid-19 siano terminate.

Esimio dott. Bucci, a Genova ci sono molti giovani che non trovano lavoro, per i quali uno svago poco costoso può essere quello di una passeggiata a Nervi o in Corso Italia, una sosta in una caletta, una birra da 70 centesimi bevuta con gli amici e la lattina correttamente smaltita. La stessa birra in un locale con dehor costa, se va bene 10 volte tanto.

Per lei che ha un discreto stipendio da sindaco, unito ai 200.000 euro come commissario per la ricostruzione del ponte sul Polcevera ( a proposito, aveva detto che avrebbe rinunciato al compenso: come è finita la cosa ? Da quanto ho letto Lei non ha risposto alle interrogazioni in Consiglio comunale), la differenza tra 70 centesimi e 7/8€ è irrilevante: per molti genovesi non lo è.

Vorrei concludere con una osservazione: a Genova la fugàssa si deve mangiare al mattino “pucciandola” nel caffelatte, mentre al pomeriggio, come facevano i lavoratori del porto, meglio nella declinazione “cun a çiòula“, associandola “ad un gotto de vìn giànco” si mangiava con i colleghi e questo per recuperare un po’ di energie. Con il suo editto lei stronca una delle più belle tradizioni genovesi.

Circa il secondo divieto, quello di “stazionare” in certi luoghi della città, davvero mi fa rabbrividire perchè mi ricorda che ciò era già stato sancito dalle leggi fasciste, materia per fortuna rivista dai Padri Costituenti nell’art.17 della Costituzione.

Lustrissimo Signor Sindaco, dopo la sparata dei 300.000 o dei 600.000 (perchè non un fantastilione ?) visitatori all’Ocean Race, questo editto proibizionista ce lo poteva risparmiare.

Si occupi, piuttosto, del benessere dei suoi cittadini, non del piacere di presunti milanesi del weekend, si guardi intorno: la vede la spazzatura che fuoriesce dai contenitori ? Le sente le buche dell’asfalto ? Li vede gli alberi capitozzati male, le aiuole prive d’erba, le strade ridotte a selve oscure a causa dei mancati sfalci, il traffico ogni giorno più intenso a causa di servizi pubblici insufficienti, o per le piste ciclabili utilizzate da pochissimi, l’assenza di cessi pubblici in una città che vorrebbe essere turistica ?

Lei ha pochi record di cui andare fiero: siamo la città con l’aliqute IMU più alte e la TARI più alta in Italia; abbiamo la metropolitana (ora ferma) più corta del mondo, gli autobus diesel vecchi di 20 anni e più inquinanti (mentre ai cittadini è vietato accedere al centro con auto Euro 3).

A Lei sono interessati solo progetti faraonici quanto impattanti sul territorio e, per altro, calati dall’alto: Funivia dei forti, Skymetro della Val Bisagno, Garage interrato di Piazza Portello quasi “regalato” ai privati, nuovi supermercati per uccidere il commercio di prossimità, il vecchio Mercato del pesce anche esso quasi “regalato” ai privati; un nuovo forno crematorio inquinante per i cittadini della Val Bisagno, ma redditizio per chi lo gestirà, il trasferimento dei depositi costieri a poche centinaia di metri dalla abitazioni dei sampierdarenesi. E, nella parte che riguarda il Comune, la mega diga che sconvolgerà l’assetto del litorale di Ponente.

Genova non merita questo.

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Uno,Trecentomila,Seicentomila…

Si è concluso l’evento velistico Ocean Race, fortemente voluto dall’amministrazione comunale di Genova, molto usa al “Panem et Circenses” piuttosto che a lavorare seriamente per migliorare la vivibilità ed fermare la continua migrazione di genovesi verso altre città.

Il sindaco Bucci aveva pronosticato la presenza di almeno 300.000 visitatori nei giorni della kermesse. Alla conclusione della stessa ecco che il personaggio, credendo di avere dei concittadini che credono alle favole, ha sparato la cifra di 600.000 visitatori: insomma, un successo epocale.

Chi abita dalle parti della ex-fiera del mare, ora “Waterfront” (in costruzione) avrà notato che i parcheggi della zona erano ampiamente disponibili, anche nelle immediate vicinanze, gli stalli provvisori di Corso Aurelio Saffi e Corso Maurizio Quadrio mai utilizzati, se non in minima parte di fronte le Mura delle Grazie, però sicuramente da visitatori del Porto antico e dell’Acquario che, come è noto, è lì vicino.

Forse qualcuno deve aver fatto capire al dogetto che l’aveva sparata grossa, per cui ecco che l’ineffabile tira fuori dal cappello il suo coniglio: il numero previsto è stato ampiamente superato, anzi raddoppiato, facendo entrare nella conta sia chi ha partecipato alle attività specifiche dell’Ocean Race, ma anche chi è andato al concerto dell’azienda di mutande, poi alla passeggiata musicale e, questa è davvero grande, anche chi era al Porto Antico dove c’è l’Acquario.

Già che c’era poteva anche inserire nella conta chi viaggiava nel tratto genovese dell’autostrada, chi usciva o entrava nella Sopraelevata, chi abitando alla Foce portava il cane a pisciare o il sacchetto della rumenta, chi voleva farsi una passeggiata in Corso Italia, o, come ho fatto io, una ai Parchi di Nervi.

La sparata dei 600.000 visitatori dell’Ocean Race deve aver fatto sorridere anche gli addetti ai lavori, ovvero chi era dentro lo spazio dedicato alla manifestazione e che ha potuto constatare che le presenze erano una frazione di quante dichiarate.

Ed ecco il secondo coniglio: l’esimio doge forse si è accorto di averla sparata grossa e, nelle successive dichiarazioni alla stampa, ha corretto un po’ il tiro: sono sempre 600.000 i visitatori ma forse un po’ di persone sono state contate due volte, magari tre, quattro. Come dire che uno davvero interessato se è andato 3 o 4 volte a vedere le barche, poi a mangiare un panino al Porto Antico, magari una visita all’Acquario, poi il concerto, la sfilata, magari si è fermato per cena, magari ha pernottato  ed ecco che uno vale 9/10.

Parliamone seriamente: 300.000, 600.000, 1.000.000, financo un fantastilione di disneyana memoria, sono cifre sparate ad mentula canis. Con i numeri non si può scherzare, e la Statistica è scienza basata sui numeri, non sulle apparenze o sulle convenienze, ma sulla rilevazione di un fenomeno e di quante volte lo stesso si replica.

Pertanto, Bucci deve giustificare scientificamente i numeri da lui sparati pubblicamente, come essi siano stati rilevati, gli eventuali metodi di rielaborazione. Questo è un obbligo morale nei confronti della cittadinanza. In difetto egli apparirà come un venditore di fumo.

I dati che potrebbero servire a ridare un po’ di valore statistico alle sparate del doge sono l’utilizzo dei parcheggi all’uopo approntati e di quelli al Porto antico, il numero di ticket emessi, la durata delle soste, il numerodi  visitatori dell’Acquario nei medesimi giorni, le occupazioni alberghiere, i coperti ai ristoranti, l’utilizzo dei mezzi di trasporto. Tutti dati da paragonare a quelli della settimana precedente e della successiva all’evento.

Un esempio: è stato detto da qualcuno che nei dieci giorni della manifestazione tuttti gli hotel di Genova e vicinanze erano “sold out“, come sempre avviene per i Saloni nautici. Io ho provato su due piattaforme di booking online a prenotare una camera per il weekend 1/2 luglio: tutti gli hotel avevano posti disponibili, di diverse tipologie di camere, anche se i prezzi erano abbastanza alti.

Solo conoscendo questi dati, e quelli relativi agli impegni di spesa del Comune e alle sponsorizzazioni si potrà verificare se la manifestazione ha avuto successo oppure sia stato un flop clamoroso.

Spero che l’opposizione in Consiglio Comunale una volta per tutte tiri fuori gli attributi e contesti questi dati e, soprattutto, chieda che sia reso pubblico quanto l’evento sia costato alla città, ad oggi, e non con formule di comodo tipo “ci sarà un ritorno nel 2024/2025” perchè non vorrei che debbano essere i cittadini di Genova a pagare, con aumenti di aliquote IMU e per la TARI o tagli di servizi, eventuali e forse probabili buchi di bilancio.

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Comizio Pertini

30 giugno 1960: le giornate di Genova antifascista

Nella primavera del 1960 si consumò una delle tante crisi governative della Prima repubblica. Il Governo presieduto da Antonio Segni per contrasti interni entrò in crisi. La principale motivazione il tentativo della Sinistra DC di operare una cauta apertura al Partito Socialista per la formazione di un gabinetto di centro-sinistra.

Il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, fallito un altro tentativo di Segni, diede l’incarico ad un altro esponente della Sinistra DC, Fernando Tambroni, già ministro economico. Tambroni riuscì solo a formare un governo monocolore con lo scopo di sistemare i conti dello Stato. Presentatosi alle Camere il Governo Tambroni ottenne una risicata maggioranza avvalendosi dei voti del MSI, il partito neofascista.

A seguito di proteste per aver accettato i voti neofascisti, tre ministri lasciarono l’esecutivo e Tambroni fu costretto a rassegnare le dimissioni. Dimissioni che, però, non vennero accettate dal Presidente Gronchi che rinviò Tambroni alle camere. In Senato ottenne la fiducia con minimo scarto e l’appoggio esterno determinante del MSI.

In questo contesto politico, fortemente polarizzato, si inserisce la convocazione del congresso del MSI a Genova per la fine di Giugno 1960.

Tale convocazione fu subito fortemente criticata in quanto Genova la città che per prima si era liberata per azione dei propri Partigiani e per questo insignita della medaglia d’oro al valor militare.

Oltre a ciò il congresso avrebbe dovuto svolgersi al Teatro Margherita di via XX Settembre, a 10 metri dal Ponte Monumentale, sotto il quale è il sacrario dei caduti Partigiani e ove è posta una lapide con l’atto di resa delle forze naziste.

Verso i primi giorni di giugno nell’edizione locale dell’Unità fu pubblicato un appello affinché l’oltraggio alla città Medaglia d’oro fosse evitato, non consentendo lo svolgimento del congresso. Esponenti dei partiti comunista, socialista, socialdemocratico, repubblicano e radicale si riunirono ed insieme alla Camera del Lavoro chiesero ufficialmente al Prefetto l’annullamento del congresso neofascista.

Il 15 giugno una manifestazione di lavoratori vide l’attacco provocatorio di alcuni missini, presto respinti, ma anche di un plotone di carabinieri che colpirono selettivamente gli antifascisti.

La settimana successiva, il 25, fu indetta una manifestazione da parte della FGCI, della FGSIe delle organizzazioni giovanili di PSD e PRI e con la partecipazione di numerosi portuali della CULMV e della Pietro Chiesa. In via XX Settembre, nei pressi del Ponte Monumentale, il corteo fu oggetto di una carica della polizia, carica prontamente respinta, con diversi agenti feriti.

In quei giorni si ebbe la notizia che al congresso del MSI avrebbe partecipato Carlo Emanuele Basile, famigerato prefetto di Genova durante la Repubblica sociale. Questo personaggio fu responsabile di arresti di partigiani e di deportazioni di civili, fatti per i quali fu condannato a morte e successivamente assolto per insufficienza di prove e, per alcuni reati, amnistiato. Basile era divenuto un dirigente di spicco del MSI.

Questo fatto inasprì ulteriormente gli animi degli antifascisti genovesi che convocarono per il 28 giugno una memorabile manifestazione, conclusasi in Piazza della Vittoria con l’intervento di Sandro Pertini, allora direttore de Il Lavoro e parlamentare socialista, oltre che medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza.

Questa frase di Pertini talmente infuocò gli animi tanto che fu soprannominato “brichetto”, in genovese “fiammifero”:

“La polizia sta cercando i sobillatori di queste manifestazioni, non abbiamo nessuna difficoltà ad indicarglieli: sono i fucilati del Turchino, di Cravasco, della Benedicta, i torturati della casa dello studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori.”

La Camera del Lavoro convocò, quindi, una manifestazione di protesta per il giorno 30 giugno. Questa manifestazione, partendo da Piazza della Nunziata, si portò tranquillamente attraverso il centro fino a Piazza della Vittoria. Al termine del comizio del Segretario della Camera del Lavoro Bruno Pigna, un gruppo di antifascisti, per lo più portuali della CULMV risalì la via XX Settembre e si soffermò davanti al teatro Margherita, fortemente presidiato dalla celere, e poi a Piazza De Ferrari. Qui si trovavano intorno alla fontana diversi agenti e funzionari della celere di Padova, famosa per essere costituita da molti ex poliziotti della RSI o, comunque, collusi con il regime fascista e perciò utilizzata nell’ambito di scioperi e manifestazioni di lavoratori.

Dai lavoratori si levarono urla di protesta ed insulti, e la celere reagì con caroselli delle camionette e manganellate ai manifestanti. Questi, come detto in prevalenza portuali, per cui molti di loro avevano con sé il famoso gancio, principale strumento di lavoro che, volendo, poteva rivelarsi un’arma micidiale riuscirono a impadronirsi di tubi, bastoni ed altro materiale da un cantiere adiacente il teatro Carlo Felice, con i quali risposero fieramente ai celerini.

Di questi fatti ho personalmente un ricordo. Infatti, bambino di 6 anni e mezzo, stavo tornando a casa insieme a mia nonna e questa, alla vista della battaglia che si stava svolgendo, mi portò dietro una delle colonne di portici dell’Accademia da cui potei sbirciare quanto stava succedendo. Di quanto accadde ricordo il fumo, le urla, le frenate delle camionette, un portuale con la maglietta a strisce ed il gancio alla cintura e la testa insanguinata, un paio di celerini gettati nella fontana, altri portuali che portavano via un giovane celerino svenuto, per metterlo in salvo e proteggendolo dall’ira di altri gridando, in genovese “Lascielou stà, u lè in figgeu”.

Nei giorni successivi in altre parti d’Italia si ebbero manifestazioni antifasciste e scontri, e questi ebbero il giusto risultato di far annullare il congresso neofascista.

Un paio di giorni dopo una grande manifestazione, a cui parteciparono esponenti antifascisti di spicco, sancì la vittoria della Genova antifascista.

Sono passati 60 anni da quelle giornate memorabili, il neofascismo in questi anni ha rialzato il capo, magari sotto mentite spoglie, come quelle leghiste-sovraniste, oppure più palesemente come “fascisti del terzo millennio”, e in tutte le sue forme deve essere combattuto, con ogni mezzo, dalla democrazia.

Come scrisse Sandro Pertini:

“Io non sono credente, ma rispetto la fede dei credenti; io sono socialista, ma rispetto la fede politica degli altri e la discuto, polemizzo con loro, ma loro sono padroni di esprimere liberamente il pensiero. Il fascismo no, il fascismo lo combatto con altro animo: il fascismo non può essere considerato una fede politica; il fascismo è l’antitesi delle fedi politiche, il fascismo è in contrasto con le vere fedi politiche perché il fascismo opprimeva chi non la pensava come lui”.

 

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Le Mura della Malapaga: degrado

Le Mura della Malapaga risagono alla fine del XIII secolo e prendono il nome dalla vicina prigione dei debitori insolventi. Fanno parte del quartiere del Molo e sono tra le meglio conservate del sistema murario genovese.

Sono state magicamente descritte, insieme a una buona parte del centro storico, nel film omonimo del registra francese René Clément, girato nel 1949 e vincitore di un premio Oscar come miglior film e un premio al Festival di Cannes. Jean Gabin, Isa Miranda, la giovane Vera Talchi, Andrea Checchi, Ave Ninchi sono stati i protagonisti di questo grande film.

Oggi le Mura della Malapaga hanno alla loro base la strada che porta al Porto Antico, ai Magazzini del Cotone ed agli attracchi di enormi yacht ed anche a diversi parcheggi.

In altre parole sono l’ingresso al più importante porto turistico di Genova e alle attività ad esso connesso. E come nelle vecchie case patrizie l’ingresso era il locale più ben tenuto e considerato qualificante per i proprietari, anche l’accesso stradale al Porto antico dovrebbe esserlo.

Invece le Mura sono un proliferare di piante infestanti, alcune alte oltre un metro, che si insinuano tra le pietre. Anche dal versante interno del bastione la situazione non è buona.

Non so se la manutenzione spetti al Comune, al Municipio 1, al Porto antico, ma di certo al momento nessuno se ne occupa.

E poco distante è possibile ammirare uno dei moli medievali ancora esistenti, interessanti anche per i reperti (credo ancore) lì adagiati. Ma questi moli sono ricoperti, senza una logica, da piante di ogni tipo, anche da un’agave, da pietrisco buttato così, e, come ovvio, anche da reperti di origine umana: lattine, bicchieri in plastica, cicche, fazzoletti in carta.

Sarò noioso, ma è possibile che ci sia da parte degli amministratori pubblici un così marcato disinteresse per la pulizia, la bellezza ?

11:29
Le Mura della Malapaga: degrado
19 Giugno 2023

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Le scalinate monumentali di Genova ed il loro degrado

A Genova ci sono tre scalinate monumentali che avevano ed hanno il compito di superare il dislivello esistente tra il centro storico e l’ottocentesca Circonvallazione a monte. Di queste due hanno le scalinate prima divergenti e poi convergenti ed una, al termine di via Caffaro, le scalinate sono laterali per consentire anche il passaggio di mezzi a ruota.

Via Palestro, forse la più imponente, con le scale che alla base arrivano in una fontana abbeveratoio. Dipinte a strisce con colore tipico di Genova, ed al centro un grosso rosone col simbolo della città.
Purtroppo lo stato di manutenzione è pessimo. Il lato di ponente è abbruttito dal parcheggio interrato e dal suo ascensore. Il rosone è quasi illeggibile, alla base spuntano due alberi di fico, mentre il terrapieno di levante, che sorregge l’acquedotto storico, è coperto da vegetazione totalmente incolta.

Via Caffaro: le scalinate sono ai lati, scendendo dai terrapieni della strada e del condotto dell’acquedotto storico. Dai muraglioni fuoriesce acqua, la vegetazione ha preso il sopravvento ed è pericolosa per chi scende. Il lato di ponente, verso Passo Barsanti, sembra una foresta.

Via Pertinace: tre le due scalinate in basso si osserva una fontana con un bel bassorilievo religioso e la data di costruzione. 1895. Peccato che sia tutto in pessime condizioni, direi un vero schifo, ed anche qui dai muraglioni ottocenteschi proliferano piante infestanti che, in alcuni casi, diventano alberi.

Ma i responsabili della manutenzione, siano essi del Comune o del Municipio I, un minimo di vergogna nel vedere lo stato delle tre scalinate non lo provano ? Possibile che non riescano a cogliere il significato storico e culturale di queste opere mentre preferiscono spendere soldi per le sagre di salami e focacce ?

Mala tempora currunt con amministratori di così infimo livello, attenti non ai bisogni dei cittadini, ma a quelli degli amici.

PS: ci sarebbe una quarta scalinata monumentale, quella tra il parco e la Villa Gruber-De Mari, ma non è nata con lo stesso scopo delle precedenti, ma solo per consentire il passaggio dalla villa al parco.

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