Piccapietra

Piccapietra:ricostruzione o scempio?

Portoria o Piccapietra ?

Fino al 1873, quando iniziò l’aggregazione delle zone fuori le mura, Genova era divisa in “sestieri”, appunto in numero di sei. Uno di essi era “Portöia”, ovvero Portoria, ma una delle strade principali era quella dei laboratori di scalpellini, ad esempio di ardesia,marmi e graniti, detta, appunto, “Piccapria”, o Piccapietra.

Negli anni successivi entrambi i nomi divennero sinonimi, anche se nei documenti pubblici del dopoguerra venne utilizzato di più Piccapietra.

Nel 1945 Genova era pesantemente segnata nella sua consistenza edilizia e nella sua struttura economica a causa degli eventi della II guerra mondiale. I due bombardamenti navali e le numerosissime incursioni aeree che colpirono la città, oltre alle notevoli perdite umane, provocarono la distruzione o il danneggiamento di circa il 30% degli edifici della città. Il Centro storico, esteso alla parte centrale della città, è l’area che subì maggiormente i danni del conflitto per la vicinanza a importanti obiettivi bellici quali il porto mercantile le aree cantieristiche. Su circa 53000 mq, ovvero il 25% della sua superficie, furono rasi al suolo o seriamente danneggiati gli edifici, spesso in modo irreparabile.

Con la Liberazione, avvenuta il 25 aprile del 1945, il CNL nominò sindaco il socialista Vannuccio Faralli, che, tra gli innumerevoli problemi si trovò a fronteggiare una situazione d’emergenza i cui dati più significativi erano i circa 50000 disoccupati e i 40.000 senza tetto.

Oltre all’emergenza le amministrazioni che per un decennio si succederanno alla guida del Comune, ovvero i sindaci del PCI Giovanni Tarello e Gelasio Adamoli e, dal 1951 il democristiano Vittorio Pertusio, cercheranno di affrontare la ricostruzione del tessuto economico e delle parti di città distrutte dalla guerra.

Tre furono gli strumenti che si intesero adottare per la ricostruzione ed il futuro della città:

  1. Il Piano di Ricostruzione
  2. il Piano Regolatore Generale
  3. i Piani Particolareggiati: di Piccapietra, Via Madre di Dio, e San Vincenzo.

Il Piano di Ricostruzione fu affidato alla fine del 1945 agli ingegneri Fuselli e Assereto e agli architetti Labò e Romano. Successivamente, nella discussione avvenuta in Consiglio comunale, appariva chiara la volontà dell’Amministrazione ad azioni di recupero mantenendo l’assetto preesistente, come si evince dalla dichiarazione fatta dal sindaco Adamoli: “Salvare, quindi, superstiti elementi caratteristici dando spazio, nello stesso tempo, ai vicoli ed alle strade armonizzando moderne concezioni urbanistiche agli antichi motivi architettonici”.

Si rileva, tuttavia, che importanti edifici di interesse storico ed artistico, quali l’Ospedale di Pammatone, il chiostro di Sant’Agostino ed il teatro Carlo Felice, non erano ricompresi in quelli da salvare.

Il Piano Regolatore della città ebbe un processo molto travagliato e fino alla prima metà degli anni ’50 furno approvate solo alcune parti, ad esempio alcuni piani di viabilità. L’approvazione definitiva di un PRG organico e complessivo si ebbe solo nel 1959.

Nel frattempo i Piani particolareggiati ebbero un percorso diverso. Venne indetto un concorso nazionale sia per Piccapietra che per la zona di Madre di Dio e quella di San Vincenzo, concorso per il quale nessuno dei progetti presentati risultò vincente.

ll Comune ritenne prioritario il piano particolareggiato di Piccapietra, per cui fu affidato all’Ufficio Tecnico con la collaborazione di Fuselli, Albini e Pucci, la redazione dello stesso che fu adottato dal Consiglio Comunale nel luglio del 1950.

Pianta di Piccapietra prima della II guerra mondiale

Il Piano prevedeva lo sbancamento totale dell’area per ottenere una superficie urbanistica di 63.700 mq. di cui 21.000 per la costruzione di nuovi edifici.

In pratica lo sbancamento avrebbe dovuto interessare tutta la zona delimitata da Via Ettore Vernazza, l’Accademia, la Galleria Mazzini, la Chiesa di Santa Marta, il terrapieno dell’Acquasola e il Corso Andrea Podestà. Tutto ciò che era compreso, escluso quanto sopra detto, doveva essere demolito per far posto alle nuove strade via XII Ottobre e Via IV Novembre e ai nuovi edifici.

Piano particolareggiato di Piccapietra

Il finanziamento dell’operazione sarebbe derivato della vendita delle aree di proprietà comunale e dai contributi di miglioria era previsto un ricavo di lire 2.700.000.000, somma che, oltre alla realizzazione di spazi pubblici, sarebbe stata utilizzata le 808 famiglie residenti negli edifici da demolire, 705 delle quali, appartenendo alla fascia dei meno abbienti, che avrebbero potuto avere appartamenti a canone sociale.

In realtà negli estensori del piano era chiara una visione ben diversa, anzi indirizzata a creare un quartiere di alto livello e dedicato più alle attività economiche, commercio ed uffici, che ad usi abitativi, in più a carattere sociale. Ciò si evince chiaramente dalla dichiarazione dell’ing. Fuselli, allegata alla relazione tecnica: ”Piccapietra è porzione centralissima della città rimasta esclusa dalla vita moderna” ed è un tipico esempio del “ baracchismo insediatosi nelle aree necrotiche centrali, residuate dai bombardamenti dove tipiche isole etniche di immigrati in breve tempo si ambientano e vengono raggiunti dai familiari”.

L’approvazione definitiva del Piano particolareggiato avvenne nel 1952 ma il Ministero dei Lavori Pubblici impose il Ministero impose la non demolizione della Chiesa di Santa Croce e San Camillo, della Chiesa della Santissima Annunziata (nota anche come Chiesa di Santa Caterina da Genova) nonché del Colonnato dell’atrio dell’Ospedale di Pammatone, poi inglobato nella struttura del Palazzo di Giustizia e, anche se fuori dal piano, del pronao neoclassico ed i portici del teatro Carlo Felice.

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Il colonnato dell’Ospedale di Pammatone

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Colonnato dell’Ospedale di Pammatone inglobato nel Palazzo di Giustizia

I lavori di demolizione e ricostruzione iniziarono nei primi anni ’60 e, grazie ad una diversa visione da parte della Giunta comunale del tempo, si svilupparono con chiari intenti speculativi, con la costruzione di edifici per attività commerciali od economiche e non certo per insediamenti abitativi.

Lavori di sbancamento

La Porta Aurea, distrutta

Furono abbattuti l’Ospedale di Pammatone e quello degli Incurabili, la “Porta Aurea” o “Porta dei D’Oria”, da cui il nome “Portoria”, l’Oratorio delle Casacce, la Chiesa di San Colombano, e tutte le strade medioevali che portavano al quartiere a all’ospedale. Tra queste Via Piccapietra, salita Cannoni, via dei Tintori, vico Pevere, vico delle Fucine.

Lo scempio urbanistico e alla memoria storica della città, a cui ne farà seguito uno altrettanto grave e, per certi versi ancora peggiore, quello di Via Madre di Dio, è stato vissuto dagli abitanti del luogo come un vero annientamento di una comunità che fu dispersa nelle delegazioni, senza poter mantenere la propria identità.

A perenne ricordo dello scempio del centro di Genova in Vico tre Magi, nella zona di Sarzano, fu eretta nel 1981 una colonna infame “a memoria dei viventi e a monito dei venturi”, come usava nella Repubblica di Genova.

Una canzone genovese, scritta da Gino Pesce, “Piccon dagghe cianin”, rappresenta perfettamente i sentimenti di coloro che dovettero abbandonare il quartiere natio:

 

Fra i moin de Piccaprïa che fan stramûo

ghe n’ëa de casa donde son nasciûo

ghe son passòu pe caxo stamattin

ma forse o chêu o guidava o mae cammin

chi l’é de Zena ou sa perché ‘n magon

o m’ha impedïo de dî quest’orassion

Piccon dagghe cianin

mi son nasciûo chi sotta ‘sto camin

son muage che m’han visto co-o röbin

arreguelâme in gïo co-o careghin

Piccon dagghe cianin

sovia ‘sta ciappa rotta a tocchettin

i compiti gh’ho faeto de latin

e gh’ho mangiòu trenette e menestroin

Ma zà ti stae cacciando zû o barcon

ti veddi ghe a Madonna da Paiscion

l’ha faeta o mae baccan trent’anni fa

pe grassia riçevua in mezo a-o mâ

Piccon dagghe cianin

son tutti corpi daeti in scio mae chêu

se propio fâne a meno ti no pêu

piccon dagghe cianin

Creddeime poche votte ho ciento gente

no m’emoscionn-o troppo façilmente

ma quande ho visto cazze a picconae

a stansa dove gh’é nasciuo mae moae

me se affermòu quarcosa propio chi

ho ciento e ho pregòu cosci

Piccon dagghe cianin

son tutti corpi daeti in scio mae chêu

se propio fâne a meno ti no pêu

piccon dagghe cianin

Fermite un pö piccon t’arrobo un mon

un tocco de poexia do cian de Picca….pria

 

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